giovedì 20 dicembre 2012

Auguri di che?

 (Foto tratta dalla pagina Facebook di Nino Fezza cinereporter)

La guerra distrugge vite, nazioni, simboli, sentimenti. Tutto è perduto con la guerra. Tutto si può recuperare con la tolleranza e la buona volontà. 
Ma, dopo anni di illusioni e di speranze, non ci credo più. Dimostratemi che ho torto...

martedì 18 dicembre 2012

Costituzione e Benigni

La nostra Costituzione - Benigni ha omesso (per contratto) di dirlo - non è stata difesa da nessuno. Neanche da chi aveva il preciso compito istituzionale di farlo.
Non si spiegano altrimenti le attuali degradate condizioni socio-economiche che fanno a pugni con il rispetto della dignità delle persone e con i principi di libertà e di eguaglianza solennemente proclamati nei suoi primi 12 articoli.
Deve essere un destino di tutte le Magnae Chartae quello di essere tradite e disattese.
Nemmeno la Magna Charta del Cristianesimo ha avuto sorte diversa, pur essendo in assoluto la migliore.

mercoledì 12 dicembre 2012

Considerazioni sulla morte

Victimae Paschali Laudes 
Immolent Christiani
1.Agnus redemit oves
Christus innocens Patri
Reconciliavit
Peccatores
2.Mors et Vita duello
Conflixere mirando;
Dux vitae mortuus
Regnat vivus.
3.Dic nobis, Maria.
Quid vidisti in via?
Sepulchrum Christi viventis
Et gloriam vidi resurgentis.
4.Angelicos testes.
Sudarium et vestes.
Surrexit Christus spes mea;
Praecedet  suos in Galilaeam.
5. Scimus Christum surrexisse
A mortuis vere.
Tu nobis victor
Rex miserere.
Amen. Alleluia. 

Così la sequenza pasquale nella liturgia romana.

La vita e la morte combatterono (in) un grandioso duello. Il Signore della vita, (già) morto, regna da vivo.

In questo è condensata la visione cristiana della morte che altro non sarebbe che un passaggio (come la Pasqua) verso la vita. La vita diventa l'unico filo conduttore e la morte soccombe a se stessa. 
La vita è destinata a prendere il sopravvento su tutto. 
In questo ottica il morire equivale a un preciso dovere biologico. 
Basta guardare ciò che avviene in natura: il seme deve macerarsi e traformarsi per far nascere la pianta. I fiori e l'erba dei campi devono sfiorire ed appassire per far posto ad altri steli, ad altre corolle, ad altri fili d'erba nella stagione successiva.
L'esistenza è un continuo alternarsi di morte e di vita. Non si dà l'una senza l'altra. 
La Resurrezione diviene così il simbolo per eccellenza della vita che si trasforma e sopravvive alla morte.

sabato 8 dicembre 2012

Auguri scomodi


Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire…
Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio…
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate…
Giuseppe che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro…
I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. I pastori che vegliano nella notte “facendo la guardia al gregge” e scrutano l’aurora vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi. Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

+ Tonino Bello, vescovo

Per essere scomodi agli altri bisogna esserlo prima verso se stessi!
Don Tonino Bello aveva la statura morale di chi non predica con le sole parole, aveva la forza di un vero profeta, aveva il coraggio che viene da Dio. 

giovedì 6 dicembre 2012

La vecchia siracusana e Dionigi il tiranno

Mi è tornata alla mente questa versione dal latino dei miei verdissimi anni. E vorrei proporla - con la traduzione - ai miei dieci lettori. Ogni riferimento all'attuale situazione italiana è espressamente voluto.

Anus quaedam, cum Syracusani omnes Dyonisii tyranni mortem optarent propter nimiam morum acerbitatem et animi saevitiam, sola cotidie deos precabatur ne tyrannus morte raperetur. Ubi hoc Dionysius cognovit, admiratus non debitam benevolentiam, arcessivit anum et cur ita faceret sciscitatus est. Tum illa:" Hoc facio sciens. Cum enim puella essem et a saevo tyranno Syracusani opprimerentur, ego mortem eius optabam. Cum autem is necatus est, tyrannus taetrior dominationem occupavit de cuius exitio deos precabamur. Nunc tu dominationem adeptus es, qui pessimus et crudelissimus omnium es. Quaproter ego, verens ne deterior sequatur, si tu opprimaris, deos precor ut diu te servent".

Traduzione

Mentre tutti i siracusani si auguravano la morte del tiranno Dionigi per l'eccessiva severità dei modi e la ferocia di animo, soltanto una vecchia ogni giorno pregava gli dei affinchè il tiranno non morisse. Quando Dionigi venne a saperlo, incuriosito per l'immeritata benevolenza, fece chiamare la vecchia e chiese perchè facesse questo. Allora quella: lo faccio ben consapevolmente. Quando ero giovane e i siracusani erano oppressi da un crudele signore, io pregavo per la sua morte. Quando quello fu ucciso, un tiranno ancora più malvagio prese il potere e noi chiedevamo agli dei la sua fine. Ora sei venuto a governarci tu, che sei il più malvagio e crudele di tutti. E per tale ragione, nel timore che alla tua morte ti succeda uno ancora peggiore, prego gli dei che ti conservino a lungo.
P.S.: ho dovuto eliminare il precedente analogo post, che nella parte commenti era diventato il bersaglio privilegiato di ogni genere di spam, e l'ho fedelmente riscritto perché oggi più che mai la situazione italiana mi pare assai vicina a quella vissuta dalla simpatica vecchietta di Siracusa.

sabato 24 novembre 2012

Vanitas vanitatum et omnia vanitas (Ecclesiaste)


1 Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
2 Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
3 Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole?
4 Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
5 Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.
6 Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.
7 Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta,
i fiumi riprendono la loro marcia.
8 Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l'occhio di guardare
né mai l'orecchio è sazio di udire.
9 Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.
10 C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Guarda, questa è una novità»?
Proprio questa è già stata nei secoli
che ci hanno preceduto.
11 Non resta più ricordo degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso coloro che verranno in seguito.

venerdì 16 novembre 2012

La Polizia e Pasolini


Ai suoi tempi Pasolini, con voce ferma e fuori dal coro, si schierò senza esitazione dalla parte dei poliziotti e bollò con parole di fuoco i giovani comunisti che a Valle Giulia li avevano attaccati. Eccole:

« Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle università)
il culo. Io no, amici.
Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo)
ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di essere stati bambini e ragazzi
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera, la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati);
i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, etc. etc. »


Pasolini così concludeva :

« A Valle Giulia, ieri si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi amici
(benché dalla parte della ragione)
eravate i ricchi.
Mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri.
Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi
ai poliziotti si danno i fiori, amici. »


(Da il  "PCI ai giovani" di Pier Paolo Pasolini)


Sono persuaso che oggi, all'indomani delle violenze dei poliziotti su giovani inermi, Pasolini avrebbe avuto parole di severa condanna verso questi figli del popolo al servizio di un potere sordo, arroccato e arrogante  e, a differenza di allora, si sarebbe schierato senza esitazione dalla parte degli studenti.

In questo caso agli studenti, che stavano dalla parte della ragione perché manifestavano per il proprio futuro, "si danno i fiori" e non le manganellate, amici.

giovedì 8 novembre 2012

Lettera a Pinocchio

Giovanni Paolo I

Devo sempre molta gratitudine al mio amico Prof. Di Palma per quello che - spesso a sua insaputa -  riesce a donare agli altri con ammirevole generosità.
Meno di un mese fa sono stato ospite nella sua bella casa di Scisciano. Nello studio, affollato di nipotini e di libri, fui subito attratto da una splendida foto a colori che ritraeva insieme - in Piazza San Marco  - Paolo VI e l'allora Card. Albino Luciani, Patriarca di Venezia.

La foto - mi raccontava il Professore - era stata buttata via da qualcuno e lui l'aveva amorevolemte sottratta ad un sicuro e inglorioso abbandono facendola sistemare in una degna cornice.

Del Card. Luciani - continuava il mio amico - egli conservava in libreria anche  "Illustrissimi", che è una raccolta di lettere a personaggi celebri, tutti scomparsi, ai quali il futuro Papa scriveva sottoponendo loro problemi ancor oggi attuali. 

Mi venne alla mente che quel libro ce l'avevamo in casa anche noi. L'aveva comprato mia moglie a Milano verso la fine degli anni 70 e anche io l'avevo letto, sia pure disordinatamente, andando cioè a pescare casualmente tra le pagine. In genere, quando questo è possibile, non leggo mai un libro iniziando dalla prima pagina. 
A volte inizio proprio dall'ultima. E vado avanti passim. Devo ammettere che è un modo abbastanza strano, originale, non molto serio, un pò irriverente di trattare il miglior amico dell'uomo che è il libro.

Tornato a casa, ho rispolverato "Illustrissimi" e l'ho trovato ancora più interessante. 
Con lo stile semplice ed efficace di chi non si dà tante arie, senza paroloni, senza fronzoli, senza compiacimenti letterari, con rara leggerezza, l'allora Card. Luciani scriveva cose molto profonde e molto vicine alla sensibilità dei suoi tempi.

Mi piace trascrivere un breve passo tratto dalla lettera a Pinocchio ovvero "Quando ti prenderai la cotta". Secondo me è una piccola perla. Eccolo:
 
"Le obiezioni più frequenti le sentirai circa la Chiesa. Ti può forse aiutare una battuta, riferita da Pitigrilli. A Londra, ad Hyde Park, un predicatore predica all’aria aperta, ma è interrotto ogni tanto da un individuo mal pettinato e sporco. - Sono duemila anni che esiste la Chiesa, sbotta ad un tratto l’individuo, e il mondo è ancora pieno di ladri, di adulteri, di assassini! "  
Avete ragione, rispose il predicatore, sono due milioni di secoli che c’è l’acqua al mondo, e guardate in che stato è il vostro collo!" 
 In altre parole: ci sono stati dei cattivi papi, dei cattivi preti, dei cattivi cattolici. Ma questo che significa? Che è stato applicato il Vangelo? No, che viceversa, in quei casi, il Vangelo non è stato applicato!"


E questa - finora - mi sembra la migliore risposta alle critiche spesso severe che nemmeno in questo blog ho risparmiato alla Chiesa ed ai suoi uomini.

lunedì 5 novembre 2012

La libertà del cristiano

"Il cristiano è completamente libero, signore di tutte le cose, non sottoposto a nessuno; il cristiano è il più sollecito servo di tutti, sottoposto a tutti".
(da "De Libertate Christiana")

Martin Lutero

mercoledì 31 ottobre 2012

Bertinotti, Fini e la Signora di Gela


Ecco tre storielle che hanno per protagonisti Bertinotti, Fini ed una Signora di Gela.

Comincio da quest'ultima.
Era una donna di circa 65-70 anni. Di lei non conoscevo nulla. Forse era vedova ed abitava al piano rialzato di un vechio stabile popolare di Gela.
Il mio reparto ed io ci trovavamo in quella città della provincia di Caltanissetta per i "Vespri Siciliani", operazione concepita per contrastare il fenomeno mafioso e durata parecchi anni senza tuttavia sortire gli effetti desiderati
I soldati - allora tutti di leva - erano adibiti al controllo del territorio ed incaricati della vigilanza continua di alcuni "siti" (in genere abitazioni di persone a rischio come magistrati, pentiti, personalità politiche, religiose, ecc.). 
Uno di questi "siti" era vicino alla casa di quell'anziana Signora che ebbe la costanza quasi eroica di compiere un amorevole rito per chissà quanto tempo: per tutti e due i mesi del nostro impiego a Gela, certamente ancora prima di noi e, successivamente, anche durante la permanenza degli altri reparti alternatisi in quel settore, la Signora si alzava puntualmente alle 4 o 5 di mattina, preparava due tazzine di caffé caldo e, con un sorriso, le porgeva dal davanzale della sua finestra ai soldati di quel turno di guardia.
Sarebbe stato più giusto attendersi quelle quotidiane attenzioni dal palazzo accanto dove, cioè, abitava il diretto beneficiario del servizio di vigilanza prestato dai due militari. E invece no! 
Se ne occupò silenziosamente, cristianamente, umanamente, maternamente, in modo del tutto disinteressato, quella meravigliosa  Signora di Gela di cui non ho mai saputo nemmeno il nome.

Continuo con l'On. Fini.
Qualche anno fa venne a casa nostra, per salutare mio figlio, un suo ex commilitone che aveva frequentato, insieme con lui, il corso per carabinieri ausiliari a Benevento e poi era stato assegnato al battaglione mobile di Roma.
Durante il pranzo il giovane amico di mio figlio mi raccontò che nella Capitale i carabinieri ausiliari venivano solitamente impiegati per la vigilanza alle sedi centrali dei vari partiti.
A lui era spesso toccato di fare questo servizio sia presso la sede di Alleanza Nazionale sia presso la sede di Rifondazione Comunista.
L'On. Fini - mi raccontava -, entrando nel palazzo, scambiava volentieri qualche battuta con i giovani militari dell'Arma e li invitava spesso alla bouvette offrendo loro caffé e cornetto per la colazione del mattino.

Finisco con Bertinotti (ometto l'Onorevole).
L'amico di mio figlio - continuando i suoi racconti "romani" - mi diceva ancora che Bertinotti, a differenza di Fini, non solo non degnava di un saluto i carabinieri di guardia alla sede centrale del suo partito ma - senza alcuna indulgenza - era pronto a segnalare al Comando Generale le mancanze, anche le più veniali, dei giovani ausiliari (ad es. se qualche busta di plastica dei sacchetti viveri oppure una bottiglia d'acqua vuota venivano lasciate distrattamente o per la fretta sul posto).
Da uno che - a parole - si faceva passare per paladino dei lavoratori e della classe operaia mi sarei francamente aspettato un comportamento assai diverso e molto più comprensivo nei riguardi di giovani di leva.

E, poiché credo più ai fatti che alle parole, ritengo che a Bertinotti si possa tranquillamente assegnare uno zero spaccato (come si diceva una volta a scuola), un 9 pieno all'On. Fini ed un bel 10 alla Signora di Gela.

venerdì 26 ottobre 2012

Il solito inganno delle parole

 

Ieri l'ennesima vittima delle cosiddette missioni di pace: la cinquantaduesima da quando l'Italia ha deciso di inviare i propri soldati nel teatro afgano.
La pace in tutto questo discorso non c'entra un fico secco.
La nostra partecipazione a queste missioni cosiddette di pace non è che un'arrendevole adesione ai voleri di una dissennata classe dirigente, che dall'altra parte dell'oceano vuole "esportare" la cosiddetta democrazia a colpi di bombe e di invasioni armate.
Il conseguente bilancio di distruzioni e di morti è sotto gli occhi di tutti. 
Seguire gli americani in tutto quello che decidono di fare non fa certo onore a chi - come noi - continua a pagare un pesante tributo di risorse e di sangue nella tenue speranza di raccattare briciole dalla spartizione delle spoglie.
Si vede che i nostri govenanti non hanno mai letto la famosa favola di Fedro che parla di una pericolosa alleanza con il re della foresta.

martedì 23 ottobre 2012

Attenti all'inganno delle parole...

Bertrand Russell
"Acquisire un'immunità alla eloquenza è della massima importanza per i cittadini di una democrazia".
La raccomandazione del filosofo inglese fa il paio con questa considerazione di William Somerset Maugham:
"la generale idiozia dell'umanità è tale che si possono muovere gli uomini a furia di parole".
A giudicare da come sono andate e da come vanno le cose nel nostro Paese, mi sembra più che legittimo temere che gli italiani si faranno prendere ancora una volta per i fondelli dai vari Renzi, Bersani, Grillo, Monti, Casini, Di Pietro, Vendola, Maroni e compagnia cantante...

martedì 16 ottobre 2012

La sensibilità di un Padre della Chiesa


"O Dio, aiutaci ad amare tutte le cose viventi, i nostri piccoli fratelli cui Tu hai dato questa terra come casa insieme a noi. Possa l'uomo rendersi conto che essi non vivono soltanto per lui, ma per sé stessi e per Te, ed amano la dolcezza della vita quanto noi, e Ti servono meglio di quanto facciamo noi."
Basilio, Vescovo di Cesarea

lunedì 15 ottobre 2012

La storia e la Storia

"L'URSS, per le masse popolari di tutto il mondo, era l'esempio vivente che il capitalismo (un sistema sociale basato sul dominio dell'uomo sull'uomo) non era l'unica forma di società possibile ma si poteva tentare di fuoriuscirvi per approdare a un sistema che consentisse finalmente alle classi subordinate di emanciparsi. 
D'altronde gli storici, in massima parte neoliberali (molti ex-comunisti), tendono a demonizzare il "comunismo storico novecentesco" e lo fanno perché per la prima volta nella storia dell'umanità le classi dominate, pur se attraverso la mediazione di gruppi specializzati di rappresentanza sono andate al potere stabilmente, anche se per un periodo relativamente breve (1917-1991). 
Bisogna demonizzare e criminalizzare questo dato perché i dominati non devono nemmeno pensare alla possibilità di riprovarci! 
Una vera vergogna intellettuale, di cui questi servi delle oligarchie dominanti saranno chiamati a rispondere davanti alla storia".

Questo pensiero, così lucidamente espresso da un utente facebook sul profilo di Pietro Ancona, lo condivido pienamente.
Del resto la storia (quella con la s minuscola) è sempre scritta dai vincitori o dai loro incaricati. 
Ieri, oggi, domani.
E nessuno dei vincitori o dei loro pennivendoli ha mai pagato per averla scritta con furbizia travisando spesso la verità.
La Storia (quella con la S maiuscola) tenta di ristabilire la verità molto dopo, quando ormai è troppo tardi per tutti. 
E non sempre ci riesce.

sabato 13 ottobre 2012

Dio non ha bisogno di mediatori interessati...


"Come possiamo supporre che un Dio vivente abbia bisogno di una chiesa? 
Se non può manifestarsi senza una chiesa, la cosa è molto sospetta.
Per me, un Dio simile significherebbe dannatamente poco. 
Vedete, non si tratta di trovare un contenitore: siamo noi il contenitore, siamo noi lo strumento e, se non funzioniamo come tali, non abbiamo spirito." (C. G. Jung)

Sento di essere in perfetta sintonia con questo pensiero del grande psicanalista svizzero.

mercoledì 10 ottobre 2012

L'inferno, se esiste, è vuoto...

Potrebbe mai un padre punire così duramente e stoltamente i propri figli al punto da consentire al suo peggior nemico di seviziarli per sempre?
Dio farebbe né più né meno la stessa cosa se condannasse al fuoco eterno i suoi figli smarriti, consegnandoli - per colmo di sadismo - al Suo nemico per antonomasia che è il demonio.
Così ragionano i testimoni di Geova. Ed io sono d'accordo con loro.
La minaccia delle fiamme eterne non può provenire da Dio ma da quegli abili mistificatori che su Dio e sulle pene ultraterrene hanno costruito da sempre le proprie fortune.
E d'altra parte non è il Cristianesimo ad aver inventato l'inferno o il paradiso. Gli Orfici ed altri ci avevano pensato molto prima.

martedì 9 ottobre 2012

Le parole sono vuote...

Questo grido di dolore di un padre che piange il figlio la dice lunga su quanto alcune parole siano diventate false e blasfeme.
La pace è una di questa.
La vittoria un'altra.
La democrazia, la giustizia, l'eguaglianza altre ancora...

domenica 7 ottobre 2012

Riprendiamo i classici...


Il canto delle sirene incantatrici è ricominciato da qualche giorno e puntualmente tutti sono lì a  promettere mari, monti e monti(bis).
Renzi, patetica edizione toscana di Obama, minaccia di rottamare la vecchia classe dirigente ma non indica l'entità e la durata degli incentivi.
Grillo, menestrello esagitato, urlante, fuor di misura, continua a  mandare a quel paese tutti e tutto con la presunzione di costruire un' Italia a 5 stelle.
Berlusconi, prestidigitatore-illusionista sulla via del pensionamento, studia i trucchi di una palingenetica ma impossibile resurrezione dai morti.
Di Petro attende sornione l'alleato di turno.
Vendola sgrana rosari rossi e snocciola litanie ossessive di una fede politica senza più opere.
Casini è pronto a vendere il solito fumo d'incenso mentre Bersani tenta di preparare un improbabile arrosto misto con contorno di verdure lesse.
Maroni spera di ricompattare il gregge delle pecorelle leghiste smarrite nelle brume del nord ricorrendo al richiamo del vecchio, abusato armamentario padano.
I coristi (cioè tutti gli altri) tentano accordare le loro voci rotte e sgangherate alle tonalità di destra, di centro o di sinistra a seconda della personale convenienza.

Personalmente rileggerò il canto delle sirene e farò come Ulisse.

sabato 6 ottobre 2012

Lo spazio dei ricordi...


La figura di mio padre occupa gran parte dei miei ricordi.

Egli era per me la forza d'animo fatta persona, la laboriosità in carne ed ossa, l'amore dimostrato con i fatti, il sorriso incarnato su un volto dolcissimo.

venerdì 5 ottobre 2012

Grande Prezzolini

 "L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno". 
Così scriveva Prezzolini ai suoi tempi.
Ho trovato in questa frase la sintesi perfetta di quello che è stato il berlusconismo in questi ultimi 20 anni di storia italiana.
La schiera dei furbi è aumentata a dismisura a danno degli onesti. 
Spero tuttavia  che questi ultimi siano rimasti ancora la maggioranza in questo nostro sfortunato Paese.
Altrimenti è finita!

mercoledì 3 ottobre 2012

Vita, morte e resurrezione

Da "Il manoscritto ritrovato ad Accra" di Paulo Coelho, Edizioni Bompiani

SULLA SCONFITTA (I parte)

Durante l''inverno, una foglia può sentirsi sconfitta dal freddo, quando cade dall''albero? L'albero dice alla foglia: Tu pensi di aver incontrato la morte ma, in realtà, continuerai a vivere in me. È  per il tuo sacrificio che io posso continuare a esistere, a respirare. Ed è anche grazie a te che mi sono sentito amato, giacchè ho potuto ristorare con l'ombra il viandante esausto. La tua linfa scorre nei miei umori: siamo un'unica entità.

Per anni, un uomo si è preparato per scalare la montagna più alta del mondo ma, nel momento in cui deve dare l''assalto alla vetta, scopre che la natura l'ha cancellata con una tempesta: può allora sentirsi sconfitto? Allora l'uomo guarda le nubi e dice alla montagna: Adesso non mi vuoi. Però il tempo inevitabilmente cambierà e io potrò raggiungere la tua cima. Continua ad aspettarmi, ti prego.

Nel ciclo della natura, non esistono né vittoria né sconfitta: esiste solo il moto del cambiamento.

L'inverno lotta per imporre il suo regno ma, alla fine, è costretto ad accettare la vittoria della primavera, che porta fiori e allegrezza.

L'estate cerca di estendere il dominio dei suoi giorni caldi, giacchè è convinta che il calore sia un elemento benefico per le genti. Ma finisce per piegarsi all'arrivo dell''autunno, che regala un meritato riposo alla terra.

La gazzella si nutre di arbusti ma, contemporaneamente, è il cibo del leone.

Non si tratta di una questione di forza o di scaltrezza, bensì del modo in cui la natura ha scelto di mostrarci il ciclo della morte e della resurrezione.

(Pag. 25-26)

martedì 2 ottobre 2012

Basta poco per essere felici...

E impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
E impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi. (JL)

sabato 29 settembre 2012

Beati i poveri...


Sono convinto che, se la Chiesa non ritornerà povera, se non avrà la forza di abbandonare Mammona, se non sarà capace di servire un solo Padrone, se non metterà in pratica la lettera e lo spirito delle Beatitudini, essa non avrà più niente da dire né da dare alla speranza e al cuore degli uomini.

venerdì 28 settembre 2012

Niente di nuovo sotto il sole


Le forze che esercitano il dominio sull'uomo sono sempre le stesse. 
In primo luogo la bellezza e la sua irresistibile attrattiva.
Dai tempi dell'Eden la mela e la sua metafora hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nei destini del mondo. Nel bene e nel male.
La morbida dolcezza del corpo femminile è uno di quei doni preziosi che la Natura ha voluto regalarci per assicurare la continuità della specie e per rendere meno amare le esperienze di dolore e di solitudine dell'uomo.
Ma la bellezza, di per sé benefica e consolatoria, può a volte trasformarsi in strumento di inganno e di slealtà. 
Adamo (e con lui l'intero genere umano) è stato il primo beneficiario della sapiente seduzione di Eva ma - nel contesto della metafora biblica - anche la sua vittima più illustre.

mercoledì 5 settembre 2012

Senza titolo

 

"Nulla è impossibile a chi crede, nulla è difficile per chi ama".
(S. Bernardo)

Nemo dat quod non habet


Nessuno dà ciò che non ha.
Questo è il motivo per il quale - e così rispondo anche all'amica Liliana - non scrivo da qualche mese sul mio blog.
Penso infatti di aver detto tutto (o quasi) quello che sentivo di dire; penso di aver comunicato tutto (o quasi) quello che potevo comunicare pubblicamente; penso di aver dato fondo ai miei pensieri, ai miei dubbi, alle mie speranze, alle mie delusioni. 
Penso di aver dedicato gran parte della mia attenzione a Dio ed alla Natura, che ne è la manifestazione più autentica.
Sarebbe un'offesa ai miei cinque lettori ripetermi con le stesse cose.
Ci sarebbe - è vero - ancora qualche cosuccia da dire e da comunicare. 
Ma esistono limiti invalicabili posti a difesa di ciò che vive nell'intimo di ognuno di noi, esistono delle barriere solidissime poste a protezione di quei sentimenti che appartengono alla sfera del privato e che fanno di ogni persona  un essere unico e irripetibile.
Con questo non dico che chiudo il mio blog, il quale continua a rimanere aperto per altre sporadiche "quattrochiacchere"  leggere, libere e senza impegno.
Un caro saluto!

mercoledì 8 agosto 2012

Il sonetto

Il sonetto

Dante il mover gli diè del cherubino
E d'aere azzurro e d'òr lo circonfuse:
Petrarca il pianto del suo cor, divino
Rio che pe' versi mormora, gl'infuse.

La mantuana ambrosia e 'l venosino
Miel gl'impetrò da le tiburti muse
Torquato; e come strale adamantino
Contro i servi e i tiranni Alfier lo schiuse.

La nota Ugo gli diè de' rusignoli
Sotto i ionii cipressi, e de l'acanto
Cinsel fiorito a' suoi materni soli.

Sesto io no, ma postremo, estasi e pianto
E profumo, ira ed arte, a' miei dì soli
Memore innovo ed a i sepolcri canto.

G. Carducci

Grazie al coltissimo Prof. Antonio Di Palma che mi ha segnalato, riportandolo alla mia attenzione,  questo piccolo gioiello carducciano. 

lunedì 18 giugno 2012

Dei simboli, degli inni nazionali e della crisi europea

Bandiera di guerra del 9° reggimento fanteria "Bari"





Le ruvide pressioni dei grandi gruppi di potere, tutti esterni agli Stati europei, sono ormai sotto gli occhi di tutti.
Ciò che non è chiaro o che non viene spiegato con la chiarezza necessaria è la volontà di questi stessi gruppi di voler procedere quanto prima alla costruzione degli Stati Uniti d'Europa.
La crisi economica europea non è quindi soltanto il calvario imposto alle classi più deboli dalle classi egemoni ma è anche il travaglio che precede la nascita di questa realtà sovranazionale. 
Gli ostacoli che si frappongono sono in gran parte di ordine economico ma non sono da sottovalutare nemmeno le controspinte nazionaliste degli Stati. 
Ciascuno di essi ha infatti alle spalle una precisa entità culturale, una grande storia patria vissuta entro i confini e spesso anche al di fuori di essi, una lingua scritta e parlata che fa da cemento all'unità di un popolo, un patrimonio artistico che è l'espressione più genuina del genio di una nazione
In una parola, ciascuno di essi ha la sua irrinunciabile identità.
Ed è su questo terreno che si gioca il futuro dell'Europa unita.
La moneta unica è stato solo il primo passo.
Il secondo dovrà essere la progressiva rinuncia alle rispettive sovranità nazionali che possono e debbono essere sacrificate in vista di un bene superiore.
In un mondo, diventato da tempo un piccolo villaggio, credo che sia giunto il momento di unire tutte le forze per assicurare un futuro migliore ai figli dei figli.
La strada dell'effettiva unione europea è quella da seguire. I grandi europeisti del secolo scorso ne erano più che convinti. Bisognerebbe però avere il coraggio di farlo fino in fondo. Ciascuno e tutti insieme.
Le bandiere e gli inni nazionali hanno esaurito il loro tempo.
Vengo da un ambiente, quello militare, nel quale il simbolo dell'unità nazionale, la bandiera, è sempre stato il primo destinatario dei massimi onori. Io stesso l' ho onorata convintamente ogni giorno.
So quindi di passare per un iconosclasta o per un irriverente se arrischio di dare sottovoce questo piccolo suggerimento pratico: aboliamo da subito gli inni nazionali (che, tra l'altro, da noi servono unicamente per le partite di calcio) e facciamone uno europeo; aboliamo tutte le bandiere (buone anch'esse solo per le partite di calcio) e  riuniamole in un'unica grande bandiera d'Europa
Scommetto che, nel giro di 10 - 20,  gli Stati Uniti europei saranno realtà.
Gli Stati Uniti d'America lo sono dal 1776!

domenica 17 giugno 2012

Dedicato al mio amico Tomaso


Seguo da alcuni anni questo blog
Il suo simpatico autore merita che io spenda due o tre parole non solo per ringraziarlo per l'incrollabile fedeltà con cui mi segue sul mio ma anche per sottolinearne le pregevoli doti di carattere. 
Comincio col dire che è un alpino. Ed io ho sempre stimato gli alpini, che considero i migliori soldati dell'Esercito Italiano. Generosi, forti, leali. 
E Tomaso è un alpino nel cuore e nella mente. Pur risiedendo all'estero, non manca mai gli appuntamenti dei raduni nazionali. 
È un generoso il nostro Tomaso. Non c'è commento sul suo blog (e ne riceve tantissimi, dato l'alto numero degli amici) che non trovi una risposta puntuale e sincera da parte sua. Personalmente non so come faccia a seguire tutto e tutti ed ad avere una parola per ciascuno! 
È una persona di una semplicità disarmante, di quella semplicità che definire naif sarebbe riduttivo e sbrigativo. La sua è una nobilissima indocta scientia tratta dalla vita. E la vita di Tomaso è una vita intensamente ed operosamente vissuta.
Quella di Tomaso è, in definitiva, una semplicità che va a braccetto con la genuinità e la freschezza, una semplicità che sfida gli anni, le convenzioni e l'anagrafe.
Grazie,  caro Tomaso, per l'amicizia e per il premio che sono onorato di ricevere dalle tue mani.

sabato 16 giugno 2012

Bianco e rosso


"Su biancu est fide pro non zedere incontr'a s'inimigu, a sos affannos.
Su ruju est amore pro sa Patria, pro sos mannos".

"Il bianco rappresenta la fede per non cedere davanti al nemico, alle fatiche.
Il rosso è l'amore per la Patria, per gli antenati".

Descrizione in lingua sarda del significato del colore bianco e del colore rosso che compaiono nella mostreggiatura dei Reggimenti (151° e 152°) della Brigata "Sassari"

giovedì 14 giugno 2012

La profonda semplicità dei grandi


Ecco il testo di uno degli ultimi scritti di Nicola Petruzzellis alla vigilia della morte.

Non sarò mai abbastanza riconoscente al mio amico Prof. Antonio Di Palma (che fu suo allievo a Napoli) per avermi fatto apprezzare - parlandone a lungo e con venerazione - il suo Maestro di vita e di pensiero che fu appunto il Prof. Nicola Petruzzellis.
Originario di Trani, insegnò filosofia teoretica prima nell'Università di Bari (1951-'58) e poi in quella di Napoli (dal 1959 in poi). 
Studioso di grande levatura e mente lucidissima, il Petruzzellis fu autore prolifico e si interessò anche di pedagoglia e di storia della filosofia. Moltissimi i libri ed innumerevoli le pubblicazioni di questo filosofo.
Personalità di rara rettitudine e di eccezionale spessore morale, all'epoca delle contestazioni studentesche del '68, che lo coinvolsero direttamente, abbandonò orgogliosamente la cattedra e si ritirò a vita privata, non disdegnando tuttavia di seguire con amorevole cura, presso la propria abitazione, alcuni suoi studenti (tra i quali il Di Palma) nella stesura delle tesi di laurea.
Recentemente, sempre per merito del Prof. Di Palma, sono entrato in possesso di queste ultime pagine scritte dal Petruzzellis.
Un gioiello di sintesi, un compendio essenziale di meditazioni e di riflessioni durate una vita su una figura, quella di Gesù, di vitale importanza per ogni singolo uomo e per l'umanità nel suo complesso.
In una specie di testamento spirituale, il Nostro - come un pittore di grande talento - tratteggia con magistrale rapidità  le relazioni salienti di Gesù con l'uomo visto da molteplici angolazioni.
Ne scaturiscono considerazioni per me bellissime, che ho voluto condividere con i miei cinque lettori.
Una in particolare, quella su Gesù fra i ricchi, mi obbliga certamente a rivedere la mia visione del mondo, forse viziata da un eccesso di pauperismo. 
E infatti non solo i poveri, che rimangono pur sempre i destinatari privilegiati della "buona novella", ma anche i ricchi possono salvarsi, a patto che lo vogliano davvero e che sappiano rinunciare al superfluo per amore del povero.

venerdì 8 giugno 2012

Dei doveri e delle follie dei principi e dei cortigiani

 È già gran tempo ch’io differisco di dir qualche cosa intorno ai principi ed ai grandi, i quali sono del tutto opposti a que’ furbi ed impostori, di cui or ora ho parlato; essi mi coltivano senza verun riguardo, e con quella franchezza ch’è propria del loro grado. Se questi felici semi-dei avessero in zucca soltanto una mezz’oncia di cervello, che cosa mai vi sarebbe al mondo di più triste e miserabile della loro condizione? Chiunque si prendesse la pena di riflettere attentamente ai doveri d’un buon monarca, non che volesse usurpare una corona collo spergiuro, col parricidio, col liberticidio, in una parola coi più esecrandi delitti, tremerebbe invece all’aspetto d’un carico così enorme. Imperocché osserviamo in che cosa consistono gli obblighi d’un uomo che vien posto alla testa di una nazione. Egli deve travagliare giorno e notte pel pubblico, e mai pel privato interesse; non pensare che ai pubblici vantaggi; osservare pel primo le leggi, di cui è autore e depositario, né mai deviare in nulla da quelle; osservare da sè stesso, o con occhi ben sicuri, l’integrità degli ufficiali e dei magistrati; aver sempre presente che gli sguardi di tutti stanno fissi sulla sua pubblica e privata condotta, e che a guisa d’un astro salutare può utilmente influire sulle cose umane, o qual infausta cometa può cagionare le maggiori desolazioni. Non deve dimenticarsi giammai che i vizj, ed i delitti de’ sudditi sono infinitamente men contagiosi di quelli del padrone; ripetere ogni giorno a sè medesimo che il principe si trova in sì alto grado ove, dando cattivi esempj, la sua condotta è una peste che si comunica tosto, e fa una grandissima strage; riflettere che la fortuna d’un monarca lo espone continuamente al pericolo di abbandonare il retto sentiero, che deve resistere ai piaceri, alla lusinga dell’impunità, all’adulazione, al lusso, e che non saprebbe nè mettersi abbastanza in guardia, ne abbastanza reprimere tutto ciò che il può sedurre. Deve finalmente richiamarsi spesso alla memoria, che oltre alle insidie, agli odj, ai timori, ai mali tutti, a cui il principe trovasi esposto ad ogni momento rispetto ai suoi sudditi, ei deve tosto o tardi comparire innanzi al tribunale del re dei re, ove gli verrà chiesta stretta ragione di tutte le sue più piccole operazioni, ed ove sarà giudicato con un rigore proporzionato all’estensione del suo dominio. Io pertanto lo ripeto ancora, che se un principe riflettesse a tutte queste cose, alle quali dovrebbe pur troppo far riflessione se fosse un tantino savio, non potrebbe certamente nè mangiare, nè dormire tranquillamente un sol giorno di sua vita. Ma non temete; io ho posto rimedio anche a questo, e col favore della mia inspirazione i principi riposano tranquilli sul destino e sui loro ministri; vivono nella mollezza, e non trattano se non con quelle persone che possono contribuire a divertirli, ed a preservarli da ogni inquietudine ed afflizione. Credono costoro di soddisfare anche troppo ai doveri di un buon re divertendosi quotidianamente alla caccia, mantenendo bellissimi cavalli, vendendo a proprio vantaggio le cariche e gli impieghi, mettendo in opera degli espedienti pecuniari per divorare le sostanze de’ popoli, e per impinguarsi col sangue de’ loro schiavi. Non può negarsi che usino dei riguardi sul punto delle imposizioni: si allegano sempre dei titoli di bisogno, dei pretesti d’urgenza, e benché in fondo tali esazioni non siano talvolta che un mero ladroneccio, pure si studiano di coprirlo col velo del pubblico interesse, della giustizia e dell’equità; danno ai popoli delle buone parole, chiamandoli i suoi Buoni, i suoi Fedeli, i suoi Affezionatissimi sudditi; e mentre si spogliano con una mano, s’accarezzano coll’altra, per prevenire i loro lamenti, ed accostumarli a poco a poco a sopportare il giogo della tirannia. Ora poi, voglio farvi una supposizione: figuratevi sul trono (cosa che pur troppo spesso suol accadere) figuratevi, dico, sul trono un uomo ignaro delle leggi, quasi nemico del pubblico bene, che non tende se non al suo proprio interesse, schiavo dei suoi piaceri, sprezzatore delle scienze, che sdegna la verità, che non può ascoltare un linguaggio sincero, il cui ultimo pensiero sia la felicità de’ suoi schiavi, che non segua se non le sue passioni, che misuri ogni cosa dalla propria utilità. Mettete a quest’uomo la collana d’oro, ornamento che significa il complesso e l’unione di tutte le virtù; ponetegli sul capo la corona arricchita di pietre preziose, il che lo avverte d’essere in obbligo di sorpassare tutti gli altri in ogni sorta di eroiche virtù; dategli in mano lo scettro, quello scettro ch’è il simbolo della giustizia, e di un’anima completamente incorruttibile; vestitelo finalmente della porpora, che dinota un vivo amore pei popoli, ed un ardentissimo zelo por la loro felicità. Io son di parere che se questo monarca confrontasse i suoi reali ornamenti colla viziosa sua condotta, non potrebbe a meno di provarne vergogna e rossore, e son persuasa che egli temerebbe grandemente d’esser messo in ridicolo insieme coi suoi simbolici fregi da qualche sensato e lepido chiosatore.
Passiamo ora ai grandi della corte. Non havvi schiavitù più vile, più nauseante, più spregevole di quella, a cui si sottomette questa specie ridicola di persone, e ciò non ostante essa suol guardar d’alto in basso il resto de’ mortali. Conveniamo però che sono modestissimi circa un sol punto, ed è, che contenti di portare indosso l’oro, le pietre, la porpora, e tutti gli altri simboli della saviezza e della virtù, cedono facilmente agli altri la cura d’essere savi e virtuosi. Per essi la maggiore felicità è quella di aver l’onore di parlare al re, di chiamarlo signore e padrone assoluto, di fargli un breve e studiato complimento, di potergli prodigare i titoli fastosi di vostra Maestà, di vostr’Altezza Reale, di vostra Serenità, ecc. ecc. Tutta l’abilità de cortigiani consiste nel vestire con proprietà e magnificenza, nell’essere sempre ben profumati, e soprattutto nel saper adulare con finezza. Quanto poi allo spirito ed ai costumi sono veri Feaci, sono veri amanti di Penelope; voi sapete quanto ne dica il buon Omero e meglio di me ve lo ripeterà la ninfa Eco. Lo schiavo vile del monarca, purché non debba fare la corte al suo signore (poiché in questo caso si leverebbe anche al primo canto del gallo, suol dormire fine al meriggio; ed appena svegliato, il mercenario cappellano, che ne attendeva il momento, gli barbuglia in fretta in fretta una messa. Passa quindi a far colezione, e di lì a poco al pranzo, a cui succedono immediatamente i giuochi de’ dadi e degli scacchi, i buffoni, le cortigiane, gli sconci trattamenti, e tutti quegli altri piaceri, che chiamansi passatempi. Questi divoti esercizj si fanno non senza una o due merende; quindi si cena, e si passa la notte in mezzo alle bottiglie; e senza mai ricordarsi che si nasce per morire, si passa rapidamente la vita. Le ore, i giorni, i mesi, gli anni, i lustri trascorrono per essi senz’alcuna noia a guisa di lampe. Parmi di uscire da un convito, quando miro costoro gloriarsi delle loro ridicolaggini. Quella ninfa credesi più vicina agli Dei, perchè dietro si strascina una coda più lunga delle altre; questo grande, che ha ricevuta una gomitata nello stomaco del suo principe, mentre tentava di penetrar nella folla, si compiace e crede che vi sia minor distanza tra lui ed il suo sovrano; quel cortigiano si pavoneggia per la catena d’oro che gli pende dal collo, perchè pesa molto più di quella degli altri, facendo così pompa non meno della sua opulenza, che della facchinesca sua robustezza.
Da "Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam

mercoledì 6 giugno 2012


"Dormivo e sognai che la vita era gioia.
Mi svegliai e vidi che la vita era servizio.
Volli servire e vidi che la vita era gioia!"

R. Tagore (poeta indiano)

martedì 5 giugno 2012

Parole sempre attuali





Nella casa del giusto anche coloro che esercitano un comando, non fanno in realtà che prestare un servizio a coloro cui sembrano comandare. 

Essi infatti non comandano per cupidigia di potere ma per dovere di fare del bene agli uomini; non per orgoglio di primeggiare ma per amore di provvedere. 

S. Agostino ("La città di Dio")

domenica 3 giugno 2012

Figure d'altri tempi

Mons. Nicola Monterisi
"Non avrei mai creduto che ad un certo punto della mia vita mi sarei trovato a raccontare di un vescovo apologeticamente ed ex abundantia cordis: senza distacco, senza ironia, senza avversione."  
Così scriveva Sciascia nella Nota al suo incantevole "Dalle parti degli infedeli", dopo aver documentato con lettere e documenti già sotto il segreto del Sant'Uffizio, le vicissitudini di Mons. Angelo Ficarra, vescovo di Patti e conterraneo del grande scrittore.
Ed è quello che - fatte le debite proporzioni - è capitato anche a me.
Infatti l'ultimo libro, di cui ha voluto farmi dono il mio colto amico Prof. Antonio Di Palma (Nicola Monterisi, Arcivescovo di Salerno 1929-1944), mi ha dato l'opportunità di scoprire un altro vescovo che può ben competere con il suo coevo siciliano per spiritualità, cultura ma soprattutto per coraggio. Entrambi, pur nella diversità delle rispettive situazioni, dimostrano una singolare tempra di combattenti. Il primo alle prese con una personale, lunga  battaglia con i vertici della Curia romana, l'altro impegnato in un confronto breve ma intenso con gli Alleati e i vertici del Governo Italiano dell'epoca.
Le lettere di Mons. Monterisi al Ten.Col. Herbert Robertson, governatore della provincia di Salerno, al Maresciallo Badoglio ed al Comando Alleato testimoniano un'eccezionale forza d'animo ed un'assoluta trasparenza evangelica. "Sia il vostro parlare: sì, sì; no,no!"
A me - già militare di carriera - quelle lettere sono sembrate straordinarie per l'essenzialità, la schiettezza ed, a tratti, anche per la durezza di talune espressioni usate nei riguardi di altissime cariche militari ed istituzionali.
Un linguaggio secco, asciutto e senza fronzoli,  privo di ammiccamenti o blandizie diplomatiche. Uno stile in cui emergono nettamente chiarezza e assoluta mancanza di toni felpati.
Figure indomite come quella dell'allora Arcivescovo di Salerno, originario della vicina Barletta, oggi non se ne vedono più.
Ed è certamente anche per questo che un potere arrogante e protervo, libero da freni inibitori e senza  argini morali , dilaga ormai da tempo nel nostro Paese.

Ecco, in corsivo, il testo delle coraggiose missive intese a bloccare i ripetuti tentativi di requisizione del Seminario Regionale prima da parte del Comando Alleato e poi da parte del governo, il quale intendeva sistemare i vari ministeri dopo che Salerno era divenuta capitale della zona liberata:
  • al Ten .Col. Herbert Robertson in data 5 dicembre 1943:  "Il Seminario Pontificio è già da alcuni giorni in piena attività e gli alunni di liceo e teologia sono già quasi tutti rientrati, altri ancora per rientrare. Essi provengono da ben 36 diocesi [...]. Requisire il Seminario Pontificio significa colpire di disagio irreparabile tutte codeste Regioni Ecclesiastiche [...]. Devo inoltre ricordare che la S. Sede ha affidato al Governo Inglese la tutela degli interessi religiosi delle Regioni dell'Italia Meridionale. Ora nessun interesse è più vitale per la Chiesa di quello dei Seminari... ";
  • alle insistenze del Maresciallo Badoglio, Capo del Governo di Sua Maestà il Re, Monterisi l'8 dicembre 1943 scriveva in maniera non meno decisa: "Volete requisire il Pontificio Seminario Regionale di Salerno. Mi permetto di sottoporvi le seguenti mie osservazioni: Vi accludo l'annuario a stampa di detto Seminario per lo scorso anno scolastico, donde risulta che è Istituto unico di studi ecclesiastici della vasta zona tirrenica che va dal Golfo di Gaeta al Golfo di Taranto. Requisire tale Seminario vuol dire disorganizzare la vita religiosa per parecchi anni in tanta vasta zona italiana. Mancherà la successione sacerdotale; mancherà l'assistenza al popolo, mentre è in atto l'assalto comunista a queste popolazioni irritate, sacrificate, affamate dalla disastrosa guerra che ancora continua. Se togliete il puntello del prete, le cose veramente precipiteranno. Io non potendo comunicare con la S. Sede ho dovuto fare da me. Con sforzo immane, senza chiedere un soldo ad alcuno, nei due mesi scorsi ho fatto restaurare il Seminario dai danni dei bombardamenti. Vi ho speso circa mezzo milione. Prima di accingermi a tanta spesa, per essere più sicuro chiesi e ottenni dal Governo degli Alleati il permesso di aprire il Seminario. Non dovrebbe essere proprio il Governo Nazionale ad annullare tanto sforzo.
  • Mente scrivo il Seminario contiene già 200 alunni, e se ne aspettano molti altri, come possano questi avere mezzi di fortuna che li conducano qui. Anzi, siccome il Pontificio Seminario di Benevento ha avuto danni tali da non essere suscettibile di immediati restauri, parecchi vescovi di quella Regione hanno mandato qui i loro alunni. Siamo quindi oltre 30 Vescovi interessati in questa opera. La stessa S. Sede, per mancanza di comunicazione, non conosce che il suo Seminario è aperto. Inoltre io parlo al Governo Italiano, il quale appena 14 anni fa ha firmato con la S. Sede un Trattato ed un Concordato col quale gli Enti Ecclesiastici, e quindi molto più i Seminari, sono riconosciuti di interesse pubblico e il Governo si impegna a tutelarli. Anche legalmente dunque, non difendo interesse mio o nostro privato. Né il Seminario è edificio comune, che lasciandone uno sia possibile trasferirsi in un altro. È edificio unico. Infine se proprio avete bisogno di edifici ecclesiastici, io preferisco che occupiate alcune chiese, potendosi restringere il culto nelle altre e non il Seminario che è unico. Noi Episcopato, che abbiamo giurato fedeltà a Sua Maestà il Re, aspettiamo che Sua Maestà voglia risparmiarci così irreparabile danno spirituale. 
    Nicola Monterisi, Arcivescovo di Salerno
Per far recedere l'Arcivescovo dalla sue posizioni, Badoglio - due giorni  dopo - gli faceva portare a mano dal Generale di Corpo d'Armata Gustavo Reisoli-Mathieu la seguente lettera:

"Eccellenza, il Governo si deve stabilire a Salerno per espresso desiderio degli allleati anglo-americani. Per la sua sistemazione è indispensabile occupare il Seminario. Io comprendo che ciò sia di notevolissimo disturbo alla Curia, ma tutti soffrono in questo momento per ottenere la liberazione del nostro Paese. Naturalmente sarà pagato un congruo canone di affitto e indennizzati gli eventuali guasti. Io spero vivamente che V. E., da buon italiano, aiuterà il Governo in questa sistemazione. Il Generale Reisoli cercherà di agevolare la eventuale sistemazione dei seminaristi in altra località.
Prego V. E. gradire l'espressione della mia alta considerazione
Badoglio
L'Arcivescovo il 12 dicembre rispose con questa lettera (fatta consegnare al Comando Alleato) che si caratterizza per il taglio deciso e pragmatico. Si noti, ad esempio, l'indirizzo sbrigativo ma onnicomprensivo:
"Alle Autorità chiunque esse siano, che vogliono occupare il Pontificio Seminario Regionale Pio XI di Salerno.
Io devo loro ricordare che il suddetto Seminario, come edificio, è proprietà della S. Sede; e come Istituto di studi ecclesiastici, oggi in piena efficienza, dipende dalla S. Sede.
È ingeneroso occuparlo oggi, che la S. Sede, assediata com'è dal comune nemico, che sono i Tedeschi, è ignara di quanto qui accade, né io ho il modo di farle pervenire notizie. 
La S. Sede è la grande potenza morale, unica la mondo, con la quale l'Italia è in relazioni diplomatiche; e la maggior parte delle Potenze Alleate, se non hanno relazioni diplomatiche, sono in rapporto di amicizia e di rispetto.
Se l'atto di occupazione fosse fatto in danno di altra Potenza armata oggi sarebbe equivalente a dichiarazione di guerra.
Si rimprovera alla Germania di aver annullata la forza del diritto e di avervi sostituito il diritto della Forza. Ebbene quello che accade intorno a questo seminario è l'applicazione, in piccolo, del medesimo principio. In piccolo o in grande il principio resta identico.
E fosse il Seminario vuoto si potrebbe fingere una "Res Nullius", ma viceversa, esso è in piena efficienza di alunni, di superiori, di professori, di lezioni in corso.
Per farVi notare l'importanza dell'Istituto, io Vi accludo copia dell'Annuario dello scorso anno scolastico 1942-1943, donde risulta che vi accorrono alunni dalla Provincie di Napoli, Littoria, Salerno, Avellino, Potenza e Matera, e vi sono impegnati circa 30 Vescovi.
Unico Istituto del genere nella vasta zona tirrenica, che va dal Golfo di Gaeta al Golfo di Taranto. Aggiungete che io, non potendo comunicare con la S. Sede, ho dovuto fare da me. Ho curato i restauri dei danni delle incursioni per un valore di circa mezzo milione: e per essere più sicuro, prima di iniziare tali restauri ed invitare i Vescovi interessati a mandarmi i loro alunni, chiesi ed ottenni il permesso per iscritto di aprire il Seminario alle Autorità locali della Nazioni Alleate.
Dopo ciò dichiaro, sapendo di averne diritto, che nessuno uscirà dal Seminario Pontificio Regionale, alunni o superiori, se non si adoperi la violenza della forza armata. 
La violenza deve essere evidente e pubblica.
Nicola Monterisi, Arcivescovo di Salerno

Il Maresciallo Badoglio non si arrese a questo documento, così chiaro e categorico, e il 16 dicembre si recò personalmente all'arcicivescovado. 
Durante il colloquio, alla presenza di testimoni, il Presule prospettò al Capo del Governo le varie soluzioni che "senza alcun incommodo" potevano essere adottate per ospitare nelle strutture cittadine i vari ministeri. 
A quel punto Badoglio, non misurando bene la statura morale del suo interlocutore, credette di dover usare le maniere forti. Fu così che, rivolgendosi al Monterisi, gli chiese:
"Ma, lei, Eccellenza, è italiano?"
Il vecchio vescovo, già seriamente ammalato, rispose con la fermezza ed il vigore di un lottatore di razza:

"Non permetto che si metta in discussione la mia italianità; mi sento e sono più italiano del maresciallo Badoglio. Quando il popolo è rimasto solo e stremato dalle sofferenze della guerra io, vecchio di 76 anni, col mio clero sono rimasto al mio posto a conforto e sollievo della popolazione, mentre il maresciallo Badoglio è scappato a Pescara!"

Una perfetta sintesi di orgoglio e di patriottismo.

Pontificio Seminario Regionale Pio XI  di Salerno - Veduta generale

P.S.: il Seminario non venne requisito e i Ministeri furono ospitati in altri edifici della città.

Primavera

Le vergini gemme di marzo Allietano i rami di pesco Neppur lo splendore del quarzo M’apparve più raro e più fresco!