venerdì 29 marzo 2013

Ammiragli, generali e ministri

Credo di conoscere  bene l'ambiente militare. 
Ho indossato l'uniforme per lunghissimi anni e parlo con qualche cognizione di causa. 
Nel mondo delle stellette ci sono (e le ho conosciute) tantissime brave persone ma esiste anche una casta arrogante, supponente, preoccupata quasi unicamente delle proprie carriere, distante dai reali problemi delle Forze Armate, lontana anni luce dalle aspettative della base. 
È una casta rinchiusa nella torre d'avorio dei privilegi, delle corporazioni, delle cordate ed è generalmente composta da yes-man disposti a sacrificare tutto, anche la propria testa,  pur di compiacere il potere. 
Ed è così che i vertici militari, abituati a sviluppare una visione acritica del mondo per non urtare l'opinione dominante, sono quasi sempre incapaci di un qualsiasi pensiero originale o di un qualsiasi comportamento autonomo.
Di Paola non fa eccezione alla regola. 
Lui, che in servizio non avrebbe probabilmente degnato nemmeno di uno sguardo un inferiore in grado, si è lasciato scappare pubbliche lacrime per ingraziarsi un'opinione pubblica inferocita.
L'unica cosa sensata che avrebbe dovuto fare sarebbe stato dimettersi. Terzi lo ha fatto con assoluta indipendenza e con grande dignità.
Ma un militare, pur diventato ministro, non ha avuto né la forza né il coraggio di farlo.

giovedì 28 marzo 2013

Grande Renan

Oggi, venerdì santo, mi piace riproporre questo stupendo brano di Renan tratto dalla sua incantevole "Vita di Gesù". 
E' sorprendente come uno studioso rigoroso come lui, che l'esame filologico dei testi aveva allontanato definitivamente dalla fede nella resurrezione e nella divinità di Gesù, abbia sentito la necessità di rivolgersi al Crocifisso con una vibrante, appassionata invocazione che ha il sapore e il respiro di una vera e propria preghiera.
Eccola:
Riposa nella Tua gloria, o nobile iniziatore!
La Tua opera è compiuta, fondata la Tua divinità.
Non temere più di veder crollare per qualche errore l'edificio che hai eretto; d'ora in poi, immune da fragilità, Tu assisterai dall'alto della Tua pace divina alle conseguenze infinite dei Tuoi atti.
A prezzo di alcune ore di angoscia, che non seppero nemmeno offendere la Tua grande anima, Tu hai conquistato la più completa immortalità.
Per migliaia d'anni il mondo obbedirà a Te, bandiera delle nostre contraddizioni, sarai il segno intorno a Cui si combatterà la più fiera battaglia.
Mille volte più vivo, mille volte più amato dopo la Tua morte che nei giorni del Tuo passaggio in terra, diverrai la pietra angolare dell'umanità.
Strappare il Tuo nome dal mondo sarebbe lo stesso che scuoterlo dalle sue fondamenta.
Fra Te e Dio non ci saranno più distinzioni.
Tu che hai compiutamente sconfitto la morte, prendi possesso del Tuo regno, ove Ti seguiranno per la spaziosa via da Te aperta secoli di adoratori.

martedì 26 marzo 2013

Bar-Abba

 La scelta tra Cristo e Barabba - Rossano - Museo Diocesano di arte sacra

La scelta tra Gesù e Barabba va a preferire - secondo la narrazione degli evangelisti - non il Giusto ma un bieco malfattore, non il "figlio del Padre" ma un volgare bandito. Pilato spera che il popolo decida a favore di Chi aveva attraversato le contrade della Palestina "facendo del bene" e operando miracoli. 
Ma le cose - si sa - andarono contro le aspettative del procuratore romano. E anche contro ogni verosimiglianza. La decisione della folla tumultuante di lasciare libero Barabba e non Gesù è infatti un artifizio narrativo efficace ma ingenuo che corrrisponde unicamente alle esigenze di drammatizzazione del racconto e non a quelle della fedeltà storica. Se le cose fossero andate veramente come sostengono gli evangelisti, come conciliare questa scelta con le accoglienze trionfali che la stessa folla festante, appena qualche giorno prima, aveva entusiasticamente riservato al giovane Rabbi di Galilea che entrava a Gerusalemme? E come giustificare il lamento della "gran moltitudine di popolo e di donne che si battevano il petto e piangevano per Lui" lungo la via del Golgota se poco prima la stessa folla, inferocita e crudele nel pretorio romano, ne aveva chiesto a gran voce la condanna? Sono evidenti contraddizioni interne al racconto. Per superarle c'è chi sostiene ragionevolmente che Bar-Abba e Gesù dovessero essere in origine la stessa persona e che i nomi di Gesù e di Barabba abbiano poi finito per identificare due persone separate e distinte per effetto di successive, distorte tradizioni dovute essenzialmente alla confusione dei nomi. Si sa infatti che nel testo greco il prigioniero famoso ha il nome completo di Gesù Barabba. Ma Bar-Abba non è un nome proprio. E' solo una denominazione che significa "figlio del Padre", appellativo che - nemmeno a dirlo - calza a pennello solo per Gesù, figlio di Dio.
In definitiva Barabba non sarebbe altri che lo stesso Gesù. 
E allora tutto verrebbe ad accordarsi perfettamente!

lunedì 25 marzo 2013

Passio Domini Nostri...

I Vangeli sono essenzialmente il racconto della passione e morte di Gesù e del relativo processo durante il quale venne decisa la condanna. Secoli di letture acritiche, di riflessioni teologiche e di arte hanno finito per rivestire quel testo di patine ed incrostazioni tenaci che ancora oggi impediscono di vederlo per quello che è, vale a dire un racconto non privo di contraddizioni e inverosimiglianze. Si avverte in primo luogo lo sforzo dei redattori di scagionare il più possibile l'autorità romana e di addossare la responsabilità di quella morte ai giudei. Niente di più antistorico. La crocifissione era una condanna tipicamente romana che solo il procuratore di Roma poteva infliggere, non altri. Perché allora Pilato - che dagli storici dell'epoca è stato descritto sanguinario e feroce - viene fatto passare dagli evangelisti per un giudice umano e clemente, costretto a infliggere suo malgrado castighi cruenti ed esecuzione capitale a un ebreo innocente soltanto sotto la spinta fastidiosa di altri ebrei che glielo avrebbero portato nel pretorio per farlo condannare a tutti i costi? I suoi reiterati quanto improbabili tentativi di sottrarlo al patibolo si sarebbero fermati solo di fronte all'argomento decisivo messo in campo dagli stessi connazionali di Gesù, i quali - secondo gli evangelisti - volevano a tutti i costi il sacrificio di un profeta galileo che appena tre o quattro giorni prima era stato acclamato e accolto in città da una folla festante. Atteggiamento tra l'altro in assoluto contrasto con l'orgoglio e il patriottismo di un popolo fiero che avrebbe dovuto difendere con i denti e scagionare in tutti i modi un suo compatriota di fronte all'odiato invasore. Essi, gli ebrei, i sudditi più recalcitranti dell'impero sarebbero andati addirittura contro se stessi ed i propri interessi nazionali preferendo minacciare il procuratore di deferirlo a Roma qualora avesse mandato libero uno di loro! "Se non lo metti a morte non sei amico di Cesare". Perché questa evidente mistificazione storica? Semplice. Non era possibile né opportuno dire esattamente come si erano svolti i fatti per non urtare la suscettibilità dei romani ed inimicarsi così il potere imperiale proprio nella fase più delicata di penetrazione della "buona novella" nel mondo dei dominatori dell'epoca. Di fatto però la condanna di Gesù e la sua morte portano la firma inequivocabile di Roma. L'aquila romana lo accompagnò fino al Golgota e fu presente quando Egli esalò l'ultimo respiro. Ma tutto questo appare messo in ombra nel racconto degli evangelisti, i quali preferirono far cadere tutte le colpe sul sinedrio e sull'intera nazione ebraica. "Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli". La radice dell''antisemitismo nasce proprio da qui: da queste diplomatiche bugie dei "pii" redattori.
Per chi volesse approfondire segnalo questo interessante, documentatissimo libro di Widdig Fricke "Il caso Gesù" - Il più controverso processo della storia - Ed. Rusconi.

I due Papi

Questa immagine consegna alla Storia un momento eccezionale del quale la mia generazione ed io siamo stati testimoni increduli e commossi. L'abbraccio tra il Papa vecchio e il Papa più giovane dice tante cose ed altre ne fa intuire. 
In proposito ho trovato molto interessante questo bell'articolo di Vittorio Zucconi che propongo alla lettura dei miei due o tre pazienti lettori.

domenica 24 marzo 2013

Domenica delle Palme

Santa Maria di Pulsano

La cosiddetta domenica delle palme rievoca per unanime tradizione l'ingresso di Gesù a Gerusalemme prima della Pasqua. Ma - secondo alcuni autori - si sarebbe trattato di un ingresso nella città avvenuto con maggiore probabilità nell'autunno precedente e, precisamente, in occasione della festività ebraica delle Capanne (Sukkoth) che era festa di gioia, dei prodotti della terra, del vino e che - come la Pasqua e la festa delle settimane (Shavuoth) - obbligava i pii ebrei ad uno dei tre pellegrinaggi annuali a Gerusalemme.
Elemento importante di Sukkoth era il Lulav (palma), mazzo di rami formato da un ramo di palma, tre di mirto, due di salice e un cedro.
Anche secondo il mio modesto parere l'ingresso festoso a Gerusalemme, che i vangeli sinottici e la chiesa fanno cadere simbolicamente in stretta correlazione con la Pasqua, andrebbe in realtà anticipato di qualche mese, all'inizio dell'autunno precedente e cioè in coincidenza del pellegrinaggio nella città santa per la festa delle Capanne: questa e non la Pasqua era infatti caratterizzata da un singolare rito - prescritto dal Levitico - secondo cui le palme dovevano essere prese nella mano destra ed agitate per tre volte verso i quattro punti cardinali, verso l'alto e verso il basso.

sabato 23 marzo 2013

Due paroline sui marò


Due cose dovrebbero esssere sacre per l'uomo: la vita e la parola data.
Nella vicenda dei due militari italiani mi sembra che non si sia avuto il minimo  rispetto né per l'una né per l'altra.
Ammazzare due pescatori indiani scambiati per pirati non è un atto di eroismo. Si tratta semplicemente di un duplice omicidio.
Per questo ho trovato sgradevoli, inopportune, fuori luogo le accoglienze trionfali - con tanto di suggello quirinalizio  -   riervate ai due "eroi" in occasione del loro primo rientro in Patria.
Non rispettare inoltre la parola data è un atto di levantinismo di bassa lega, è un bieco sotterfugio indegno di uomini di onore.
Per questo, mentre si levavano tantissimi cori di approvazione, non ho condiviso minimamente la scelta del Governo di trattenere in Italia Latorre e Girone al termine della seconda licenza "elettorale" o, meglio, elettoralistica.
Ma il vergognoso dietro-front dell'altro ieri appare addirittura inqualificabile e getta un immane discredito sull'intera Nazione.
Mi auguro che i cosiddetti "tecnici" del nostro fulgido Esecutivo tolgano il disturbo al più presto.

venerdì 22 marzo 2013

Un grande anticipatore


"Gesù si è astenuto dal giudicare in colpa i peccatori con i quali si è incontrato. All'adultera: "Nessuno, donna, ti ha condannato?" - "Nessuno, Signore!". "Neppure io ti condanno". Non è un gesto, una parola di benevolenza detta dal Signore. È proprio un'affermazione che dev'essere per noi schema, prototipo, paradigma. Non possiamo giudicare. Nei rapporti con la gente noi dovremmo essere capaci di dare spazi di futuro. Questo per me è fortissimo. Non ci fossimo altro che per questo, noi della giungla nera della Chiesa, dovremmo essere uomini di speranza, che fanno credito alle possibilità della persona".

don Tonino Bello - Da "La coscienza e il potere", Conversazione con Nicola Magrone, Guglielmo Minervini e Clara Zagaria - Edizioni La Meridiana

martedì 19 marzo 2013

Preghiera a Cristo

Sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre.
Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti accolse, fanciullo, tra i fanciulli e, giustiziabile, tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un Povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda.   
Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione. Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai quanto sogniamo d'una tua intervenzione, quant'è necessario un tuo ritorno.
Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguita da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, una risplendenza nella notte, un'ora sola della tua eternità, una parola sola per tutto il tuo silenzio.
Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c'è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun' altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che sanno. L'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro.
Noi non gridiamo verso di te per la vanità di poterti vedere come ti videro Galilei e Giudei, né per la gioia di guardare una volta i tuoi occhi, né per l'orgoglio matto di vincerti colla nostra supplicazione. Non chiediamo, noi, la grande discesa nella gloria dei cieli, né il fulgore della Trasfigurazione, né gli squilli degli angeli e tutta la sublime liturgia dell'ultima venuta. C'è tanta umiltà, tu lo sai, nella nostra irrompente tracotanza! Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d'operaio povero; vogliamo veder quegli occhi che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo udire la tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini da quanto è forte.
Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola. Tu lo sai bene che un tuo sguardo può stravolgere e mutare le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce.
Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento e un accrescimento incomportabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati!
Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male, anche dopo la tua morte, e più dopo la morte che in vita, gli uomini  l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri, l'abbiamo fatto. Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e milioni di volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi insobilliti t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi; e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustate le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio.
Ma tu hai perdonato tutto e sempre. Tu sai, tu che sei stato in mezzo a noi, qual è il fondo della nostra natura sciagurata. Non siamo che rappezzi e bastardume, foglie instabili e passanti, carnefici di noi medesimi, aborti malvenuti che si sdraiano nel male a guisa d'un lattante rinvoltato nel suo piscio, d'un briaco stramazzato nel suo vomito, d'un accoltellato disteso nel suo sangue, d'un ulceroso giacente nel suo marciume. T'abbiamo respinto perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita. Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato, e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore». Tutte le generazioni sono eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano. «Simili, - tu dicesti - a quei ragazzi che stanno per le piazze e gridano ai compagni: "V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto"». Così abbiamo fatto noi, per quasi sessanta generazioni.
Ma ora è venuto il tempo che gli uomini son più ebbri d'allora ma più sitibondi. In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d'una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo, l'abbiettezza è stata così abbietta e l'arsura così ardente. La terra è un Inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono attuffati in una pegola di sterco stemperato nel pianto, dalla quale si levano, talvolta, frenetici e sfigurati, per buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi. Da poco sono usciti da uno di questi feroci lavacri e son tornati, dopo l'immensa decimazione, nel comun brago escrementizio. Le pestilenze hanno seguito le guerre; i terremoti le pestilenze; immani armenti di cadaveri infraciditi, quanti ne bastava una volta per popolare un regno, son distesi sotto il lieve schermo della terra bacosa, occupando, se fossero insieme, lo spazio di molte province. Eppure, come se tutti quei morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere. Le nazioni opulente condannano alla fame le nazioni povere; i ribelli ammazzano i loro padroni di ieri; i padroni fanno ammazzare i rivoltosi dai loro mercenari; nuovi dittatori, profittando dello sfasciume di tutti i sistemi e di tutti i regimi, conducono intere nazioni alla carestia, alla strage e alla dissoluzione.
L'amor bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per se medesima, di ogni popolo per se solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l'odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d'ossami la terra. L'amore di sé, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l'odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servipadroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro le razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori. L'ingordigia del troppo ha generato l'indigenza del necessario; la prurigine dei piaceri il rodìo delle torture, la smania di libertà l'aggravamento delle pastoie.
Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona del fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli uomini ch'eran rimasti intatti nella pace dell'ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire. Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l'aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e della propria scontentezza. Gli uomini, nell'ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e, pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l'alcool, i giuochi, le armi, prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie.
Il mondo, per quattr'anni interi, s'è imbrattato di sangue per decidere chi doveva aver l'aiola più grande e il più grosso marsupio. I servitori di Mammona hanno cacciato Calibano in opposte interminabili fosse per diventare più ricchi e impoverire i nemici. Ma questa spaventevole esperienza non ha giovato a nessuno. Più poveri tutti di prima, più affamati di prima, ogni gente è tornata ai piedi di fango del Dio Negozio a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino Affare e la santa Moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati. Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto. Avvezzati allo sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i ladri. L'ostentazione dei ricchi ha chiodato nella testa di tutti che altro non conta, sulla terra finalmente liberata dal cielo, che l'oro e quel che si può comprare e sciupare coll'oro.
Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno. Una sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, Mammona e Priapo: la Forza che ha per simbolo la Spada e per tempio la Caserma; la Ricchezza che ha per simbolo l'Oro e per tempio la Borsa; la Carne che ha per simbolo il Phallus e per tempio il Bordello. Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore dai fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi. L'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e i suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici.
Non c'è più Monarchie e neanche Repubbliche. Ogni ordine non è che fregio e simulacro. La Plutocrazia e la Demagogia, sorelle nello spirito e nei fini, si contendono la dominazione dell'orde sediziose, malamente servite dalla Mediocrità salariata. E intanto sopra l'una e l'altra delle caste in campo, la Coprocrazia, realtà effettiva e incontestata, ha sottomesso l'Alto al Basso, la Qualità alla Quantità, lo Spirito al Fango.
Tu sai queste cose, Cristo Gesù, e vedi ch'è giunta un'altra volta la pienezza dei tempi e che questo mondo febbroso e imbestiato non merita che d'esser punito da un diluvio di fuoco o salvato dalla tua mediazione. Soltanto la tua Chiesa, la Chiesa da te fondata sulla pietra di Pietro, la sola che meriti il nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma colle parole infallibili del tuo vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e minaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti, perfino fra quelli che vi son nati,  vivon fuori dalla sua legge .
Hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e lì mi ritroverai, incidi il legno ed io son qui.». Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi i più degli uomini non vogliono, non sanno trovarti. Se non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi ti preghiamo, dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te, e ci sforziamo di viver con te, ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi, i disperati, i reduci dai peripli e dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera.
Più d'una volta sei apparso, dopo la Resurrezione, ai viventi, a quelli che credevan d'odiarti, a quelli che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te. Tu eri la luce e parola sulla strada di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell'appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione. Quell'anime ti evocarono col potere dell'innocenza; le nostre ti chiamano dal fondo della debolezza e dell'avvilimento. Se appagasti l'estasi dei Santi perché non dovresti accorrere al pianto dei Dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbricitanti e che ognuno di noi, cercando sé, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo Messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato. Il Regno di Satana è giunto ormai alla piena maturazione e la salvezza che tutti cercano brancolando non può esser che nel tuo Regno.
La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormienti accovati nella belletta puzzante del nostro inferno, è segno che il gastigo ti sembra ancor troppo certo e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra.
Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore.

Giovanni Papini - Vita di Cristo 

venerdì 15 marzo 2013

Quando i gesti comunicano più delle parole

Ci sono gesti, come questo, che parlano da soli. E da soli dicono molto di più di mille discorsi.
L'immagine di un Papa che salda personalmente il conto parla di umiltà, di sobrietà, di vangelo. 
Il nuovo Pontefice sembra venuto da Marte e sembrano lontani anni luce gli anni delle sedie gestatorie, dei triregni, dei camerieri segreti di Sua Santità. 
"Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti" raccomandava Gesù di Nazareth.
E "il servo dei servi di Dio", con gesti molto significativi, ha appena iniziato a ristabilire il senso delle parole celebrando con semplicità la eminente dignità che deriva del servire e non dall'essere servito.
Benvenuto Papa Francesco!

giovedì 14 marzo 2013

Spiritus ubi vult spirat...

Da militare di carriera sono stato abituato ad avere grande considerazione e rispetto per la forma. Il perentorio e apodittico "la forma è sostanza" dei miei maestri in uniforme mi risuona ancora oggi nelle orecchie. 
Non sempre, a dire il vero, mi sono trovato d'accordo con questa affermazione e, soprattutto da giovane, sentivo di reclamare una maggiore libertà dai rigidi vincoli formali che talvolta mi parevano gabbie per imprigionare e nascondere il nulla.
Adesso, sbolliti da un pezzo gli ardori giovanili, devo convenire che i segni (e quindi la forma) hanno un'importanza fondamentale e che, senza di essi, qualsiasi messaggio si svuota di contenuto (e quindi di sostanza).
Per questo i segni iniziali del Pontificato di Francesco sono incredibilmente incoraggianti per chi - come me - ha sempre sognato una Chiesa povera, semplice, senza lussi, senza sfarzi, senza ori. 
Una Chiesa vicina al popolo di Dio che - spesso tra mille difficoltà - cammina a fatica nel mondo.

lunedì 11 marzo 2013

Ho un sogno...

Parlamentari 5 stelle in trasferta a Roma: treno regionale in seconda classe e pranzo al sacco.
Mi fa piacere pensare che questo sia soltanto un inizio, che gli orpelli ottocenteschi della vecchia politica vengano messi in soffitta, che le auto blu e le scorte-status simbol abbiano i giorni contati.
La sobrietà si pratica con i fatti e non si celebra soltanto a parole.
La vanagloria e la compiaciuta ostentazione del potere sono costate e costano tantissimo alle tasche del cittadino.
Anche le messinscena di solidarietà a Berlusconi di ieri e di oggi a Milano, con una irritante sfilata di auto blu, ha rappresentato uno spreco inutile e ingiustificato di denaro pubblico.
In tempi difficili come questi, in una democrazia matura, pure il Presidente della Repubblica dovrebbe saper fare a meno della sua corte e del suo cerimoniale da monarca.

giovedì 7 marzo 2013

Cara Chiesa, ti scrivo...

Card. Philippe Barbarin, Arcivescovo di Lione, in bicicletta
 Cara Chiesa, non so più a chi rivolgermi e anche tu non mi vieni in aiuto. Ci parli di Dio ma sai bene che nessun dio è mai venuto in soccorso dell'umanità. Nella lotta tra bene e male, l'uomo è sempre stato solo. Già nel racconto biblico si comincia con un delitto: «Che hai fatto Caino? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo dove sei nato...» dunque, dio ha udito benissimo il grido del fratello ucciso, ma non ha fatto nulla per trattenere la mano fratricida.
E adesso? Cosa sta accadendo a tutti noi? Come abbiamo fatto a ridurci così? troppo spesso ho la sensazione di non sentirmi in relazione con gli altri. Anche con le persone che mi sono più vicine. Mi trovo in uno stato confusionale, come se ognuno parlasse per conto proprio annaspando nel nulla. Cara Chiesa di cristiani smarriti, ho deciso di scriverti non tanto per fede ma perché tu hai più di duemila anni di storia e forse puoi aiutarci a capire i nostri comportamenti. Abbiamo smarrito la via maestra della pacifica convivenza. Ovunque conflitti di religione, separazioni di razze. Chi crede in dio sa bene che il Creatore ha fatto l'uomo e la donna, ma non le razze. E che neppure ha dato di più ad alcuni per farli ricchi perché con il loro denaro umiliassero i poveri. Così ho deciso di scriverti. Perché in questo tempo bastardo anche tu mi deludi, e mi dispiace. Probabilmente sono mosso più dal sentimento che dalla ragione. Del resto, è il sentimento che presiede ogni ragionamento. Voglio credere, Chiesa di Cristo Gesù, che tu abbia i tuoi buoni motivi che io non posso conoscere né sarei in grado di capire: questioni istituzionali, ragioni di Stato. Ma ugualmente non riesco del tutto a giustificarti, perché vorrei sentire che prima d'ogni altro motivo c'è il tuo impulso di madre a proteggerci, e che sopra tutti i tuoi pensieri ci siamo noi, i tuoi figli.
Io, e tanti come me, vorremmo che nelle difficoltà che ogni giorno dobbiamo affrontare non mancasse mai il tuo conforto. In momenti come questi che stiamo vivendo, sembra perduta ogni solidarietà fra gli uomini. Non mi dimentico che ci sono tanti cristiani di buona volontà, preti e laici, che prima ancora che nelle gerarchie ecclesiastiche si riconoscono in coloro che hanno più bisogno del nostro aiuto. Non sono soprattutto gli umiliati, i reietti che Cristo ti ha affidato? Ma chi sono io, cara Chiesa, per pretendere di interrogarti e tirarti dentro a questioni di cui non sono all'altezza? Mi faccio coraggio pensando che chiunque poteva rivolgersi con confidenza a Gesù come ora io mi rivolgo a te. Non tanto perché tu debba a me delle spiegazioni. Tu sai bene quali sono i tuoi compiti e come agire, ma almeno aiutami a capire certi tuoi comportamenti a cominciare dall'attaccamento ai beni temporali. Mostraci che hai davvero a cuore i più deboli e diseredati. Che come vedi, sono sempre più numerosi e vengono al mondo solo per morire. Ma tu, Chiesa, ci dici che sono proprio costoro i primi presso il cuore di Gesù. E allora, se sei davvero Chiesa soccorritrice, ricordati anche della solitudine dei ricchi che non troveranno mai quiete nelle loro ricchezze. Quel che adesso sto per dire disturberà gerarchie e devoti benpensanti e tutti coloro che proclamano la Chiesa madre di tutti. Ma tu, Chiesa dell'ufficialità, sei una madre distratta, più sollecita nei fasti dei cerimoniali che nell'annunciare la prima di tutte le santità: quella di coloro che credono in te anche soffrendo per le ingiustizie subite.

 Sono convinto che tutto l'Occidente - e questa nostra Italia sempre più sfiduciata e incapace di nuovi slanci abbia bisogno di un supplemento d'anima. Quel Gesù di Nazareth, falegname e maestro, col suo esempio può farci ancora ritrovare la gioia di come spendere il bene prezioso della nostra esistenza. Invece tu, vecchia Chiesa che hai innalzato tanti altari di Cristo, sembri averlo dimenticato. Proprio tu! ecco perché oggi molti s'interrogano: «Quale sarà il luogo delle beatitudini dove il Maestro tornerà all'appuntamento coi nuovi discepoli di questo nostro tempo?...». Sei davvero tu, Chiesa cattolica, la casa aperta non solo ai cristiani obbedienti, ma anche a coloro che cercano dio nella libertà, oltre i loro dubbi? Assisto sconsolato a quanto sta accadendo in Vaticano in questi ultimi mesi: intrighi, processi, scandali di pedofilia, movimenti di capitali nelle banche della stessa Chiesa. Il compianto cardinal Martini, nel momento estremo del suo congedo ci ha lasciato il suo ammonimento: «Siamo una Chiesa rimasta indietro di duecento anni, una Chiesa carica di addobbi e orpelli...». Una Chiesa ricca per i ricchi.

 Ho nella mente un turbinare di interrogativi che non mi danno tregua. Quanti anni sono passati dal Concilio Vaticano II? E dal poverello di Assisi cosa abbiamo imparato e poi trascurato? E dai martiri di ogni tempo e di ogni fede? Cattolici, protestanti, ortodossi: eppure eravamo tutti ai piedi della stessa Croce. Ma cosa sono duemila anni nella storia dell'umanità? Ne sono trascorsi appena cinquanta dal Concilio Vaticano II e troppo poco è rimasto della buona novella di quella straordinaria assemblea di fedeli. E che grande fermento: in quei giorni si sentì la brezza di una nuova primavera. Giovanni XXIII scosse la sonnolenza di una Chiesa che si affidava più alla "liturgia del rito" che alla "liturgia della vita". E tutto il mondo, cristiano e no, accolse l'invito ad aprire menti e cuori perché entrasse nella Casa di Cristo aria fresca e luce limpida. Ma poco è davvero cambiato nella Chiesa di Roma. Né dopo il Concilio né dopo duemila anni di cristianità.

 Ancora una volta, come dopo quella notte nel Getzemani, qualcuno ha tradito. Ancora una volta, su tutti i monti degli ulivi, Gesù è uno sconfitto. Siamo tutti degli sconfitti.

Ermanno Olmi - Da Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù, Piemme

Niente da aggiungere a questa splendida lettera del grande regista. La condivido tutta,  virgole comprese! 

mercoledì 6 marzo 2013

Questi benedetti siti cattolici...


Papalepapale è un sito cattolico tradizionalista uso a non risparmiare critiche e che spesso e volentieri spara a zero, con rabbia da “mastino”, sui poveri malcapitati di turno, commentatori inclusi. Al suo curatore che si autodefinisce per l’appunto mastino (dell’ortodossia? o cane ringhioso e basta?) si potrebbe ben applicare l’epigrafe riguardante Pietro l’Aretino: “di tutti disse mal fuor che di Cristo, scusandosi col dir: non lo conosco”. Uno dei bersagli del sito è il Card. Ravasi. Ecco un brano del lungo post che lo riguarda: 
Il Ravasi su Famiglia Cristiana del 1° novembre 1989, scrisse un articolo sul processo a Gesù in cui arriva alla conclusione che gli ebrei non hanno avuto alcuna responsabilità oggettiva nella condanna a morte di Cristo: su questo punto ci concentreremo dopo. Egli inizia dicendo che “lunica documentazione diretta disponibile è quella dei Vangeli.” E dice bene. Fino a quando non asserisce, continuando, che tale “documentazione che, storicamente parlando, non è ineccepibile, essendo di parte e con finalità più teologiche che rigorosamente storiografiche…”. Dunque per il Ravasi gli autori dei Vangeli avrebbero scritto non di un evento storico realmente accaduto, ma di una storia parziale e partigiana, di “parte”, cioè distorta, truccata, per portare acqua al proprio mulino e per inserire in codesta storia falsata elementi teologici che giustificassero la divinità di Cristo e le pretese teologiche della comunità nascente. 
Non voglio fare il difensore d'ufficio di nessuno né tantomeno del Cardinale che di esegesi se ne intende più di me e di cento mastini messi assieme ma qualche parolina vorrei dirla in proposito anch'io.
I Vangeli - si sa - sono pur sempre stati scritti dalla mano dell’uomo e proprio per questo il Card. Ravasi ha ottime ragioni per affermare quello che afferma. Provate per un attimo a calarvi nel clima storico-politico che si respirava negli anni della prima ed ancor più della seconda metà del I secolo della nostra era volgare. Roma era la capitale del mondo. I Romani avevano conquistato gran parte dei territori allora conosciuti. Il controllo sui popoli sottomessi – per quanto illuminato e tollerante rispetto alle tradizioni locali possa essere giudicato il metodo di governo di Roma – era in sostanza duro e inflessibile. Le voci di dissenso venivano prontamente e ferocemente soffocate. Lo stesso Giuseppe Flavio dà conto di innumerevoli esecuzioni avvenute nella sua Patria soprattutto nel periodo in cui Ponzio Pilato ne era il Procuratore. Le croci furono innalzate a migliaia. La ribellione degli Ebrei costò fiumi di sangue ad un popolo fiero ed orgoglioso della sua indipendenza e schiere di patrioti furono messi a morte senza pietà. Gesù ne seguì la medesima sorte per decisione di Pilato e per mano di soldati romani. L’aquila di Roma si staglia nitida e minacciosa sulla scena del Calvario. Provate anche ad immaginare quale possibilità di penetrazione nel mondo romano avrebbe potuto avere una “buona novella” fedele ai fatti e divulgata ingenuamente per come essi si erano realmente svolti. Una cautela politica ed una preoccupazione di non offendere minimamente l’odiato oppressore sono alla base dell’elaborazione dei fatti della Passione e Morte. I redattori anzi hanno voluto far cadere la responsabilità della fine di Gesù quasi interamente sugli Ebrei. Pilato, il crudelissimo e sanguinario Pilato di Giuseppe Flavio, diviene di colpo un funzionario debole ed arrendevole.  Addirittura gli vengono messe in bocca le improbabili parole “non ho trovato alcuna colpa in quest’uomo”. Ai capi del popolo ed alla folla che si accalcava nel pretorio è addossata per intero la colpa di aver invocato a gran voce la condanna del Giusto che perfino il Procuratore voleva a tutti i costi salvare. Più settari ed antistorici di così i redattori dei vangeli non potevano essere. In questo contesto suonano false  e costruite ad arte talune circostanze tra le quali ne elenco alcune: nel poco spazio disponibile all’interno del pretorio era assolutamente impossibile riunire una folla così numerosa come quella che descrivono i vangeli. Ed ancora: è logico pensare che Gesù, dopo aver attraversato tante contrade e tante città della Sua nazione facendo del bene a tutti, dopo aver miracolato e sfamato migliaia di persone, si trovasse inspiegabilmente tutti contro proprio nel momento cruciale? Anche la famosa risposta di Gesù: “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (si noti quel “Cesare”  anteposto addirittura al successivo “e a Dio”)  è frutto anch’essa di una mirata elaborazione dei redattori preoccupati di ingraziarsi Roma ed i rappresentanti del suo potere. Pure la vicenda di Giuda, traditore e rinnegato, si inquadra secondo me nel medesimo disegno dei redattori di voler a tutti i costi scagionare Roma e i rappresentanti del suo apparato politico-militare. Oltre tutto la morte di Giuda è riportata in modo contraddittorio dagli Atti degli Apostoli e dal Vangelo di Matteo (XXVII capitolo) cioè secondo due versioni nettamente ed apertamente contrastanti tra loro. Luca, l'autore degli Atti, riferendo direttamente il discorso di Pietro, scrive che il traditore era stato giustiziato ed era stato trovato morto attaccato per i piedi ad un albero, col ventre aperto e le budella sparpagliate al suolo. Il Vangelo di Matteo invece, con insanabile contraddizione, tramanda che Giuda morì suicida dopo essersi impiccato. Ma tutto questo non doveva rimanere senza conseguenze. I germi nefasti dell’antigiudaismo erano stati irreparabilmente inoculati. L’operazione “Giuda” ne ha favorito una lenta e progressiva incubazione che, durata secoli, doveva  sfociare nella persecuzione, la deportazione e lo sterminio del popolo ebreo.

domenica 3 marzo 2013

La pulizia di un Paese

Ho sempre pensato che il concetto di pulizia debba comprendere tutto. 
Non dovrebbe esistere una pulizia delle strade, una pulizia delle città, una pulizia dei locali, una pulizia della persona, una pulizia morale ma solo e semplicemente la pulizia.
Dove spera di arrivare un Paese come il nostro dove, ad esempio, la pulizia delle aiuole è una chimera, dove la pulizia delle strade è un miraggio, la pulizia dei WC pubblici quasi inesistente?
Così, come i fatti dimostrano, non andiamo da nessuna parte. 
Nella civilissima e pulitissima Svizzera sono invece riusciti a cancellare oggi, con un referendum popolare, la vergogna degli assurdi stipendi d'oro ai mega dirigenti.
Da noi si blatera continuamente di questo e di altro senza concludere mai nulla.
E intanto aumenta la spazzatura e trionfa la sporcizia. Soprattutto quella morale.

Primavera

Le vergini gemme di marzo Allietano i rami di pesco Neppur lo splendore del quarzo M’apparve più raro e più fresco!