martedì 30 novembre 2010

domenica 28 novembre 2010

Lucida ed obiettiva analisi

Bertrand Russell 
Trovo Facebook uno strumento molto efficace per favorire scambio di opinioni e libera circolazione delle idee. Ecco, ad esempio, come la pensa uno degli amici che su quel social network frequento di più.
Inutile dire che sottoscrivo pienamente il suo pensiero. Lo trascrivo qui di seguito integralmente:
"...quello che io vedo è una civiltà sulla via del tramonto, per usare un eufemismo. Mi pare che la gran massa dei pensanti concordi nell'individuare nei "valori" perseguiti dalla nostra classe dirigente la causa di questo fenomeno. Constato che questa classe dirigente continua a riscuotere il consenso della maggioranza popolare elezione dopo elezione, vergogna dopo vergogna, prevaricazione dopo prevaricazione, in una sorta di sindrome di Stoccolma. Ed ho il forte sospetto -per usare un altro eufemismo- che questa maggioranza lo faccia perché composta da gente che alla dignità, per sè e per i posteri, preferisce la speranza di qualche briciola caduta dal tavolo del potere. Speranza nutrita da ciò che ha sostituito il libero pensiero: i media.
È su questo piatto che io sputo, come Remarque quando scrisse "Non è la mia Patria". E non è il "mio". Non è quello del Rinascimento -come sembri credere- e neanche, con qualche distinguo, quello del Risorgimento. È quello di chi questo retaggio uccide.
Io non predico l'abolizione di partiti (se mai quella del finanziamento obbligatorio di TUTTI i partiti) né la loro demonizzazione; ma l'abolizione di ciò che impedisce al sistema di funzionare secondo le regole che, da che esisto, si sono chiamate "democratiche".
La rivoluzione vera, quella della disperazione e del sangue, quella che la storia ci indica come valvola di sfogo di situazioni come questa, ci è impedita dal consenso artificiale verso il suo logico obiettivo e dall'illusione di vivere che un potere scaltrito ha instillato nella gente.
Io sarò certamente cretino; ma non tanto da incitare, oggi, la gente a spaccare le teste altrui. Non perché sarebbe "brutto" (ogni rivoluzione lo è). Perché sarebbe inutile.
L'unica rivoluzione che io vedo possibile e necessaria, oggi, è quella dell'informazione. 
Ed è quella che cerco di attivare".
A questa sintetica ma esuriente analisi mi permetto solo di aggiungere che oggi è più che mai necessario non farsi irretire dalla propaganda e dal suo assordante tam-tam mediatico ed è quanto mai attuale il severo monito di Russell: «acquisire un'immunità alla eloquenza è della massima importanza per i cittadini di una democrazia.»

venerdì 19 novembre 2010

Discorso di Pericle agli Ateniesi


"Qui ad Atene noi facciamo così: qui il nostro governo favorisce i molti, invece dei pochi, e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così: le leggi, qui, assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà a preferenza di altri chiamato a servire lo stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così: la libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana, noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere, proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così: ci è stato insegnato di rispettare i magistrati e ci é stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte, che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buonsenso.
Qui ad Atene noi facciamo così: un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile, e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicita sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma io proclamo Atene scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso e la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione. Ed é per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. 
Qui ad Atene noi facciamo così".

Tucidide -  "La guerra del Peloponneso" -  461 a.C.

Da noi manca un Pericle, manca un Tucidide,  manca la democrazia, manca quasi tutto. Che vogliamo più dalla vita?
Meno male che ci è rimasto almeno Rossi

domenica 14 novembre 2010

Sulla via di Damasco

La mia attuale posizione rispetto alla fede deve molto anche a questo libro acquistato per caso tanti anni fa a Rimini. Non credo che sia più possibile reperirlo in commercio. Lo trovai subito interessante nelle conclusioni e soprattutto molto attento ai testi sui quali viene fatta poggiare generalmente ed acriticamente la fede nella divinità di Gesù.
Per certi versi un libro davvero accattivante. Ma anche pericoloso come la caduta da cavallo di Saulo sulla via di Damasco.
Con una sola differenza: la folgorazione per me è stata all'incontrario.

martedì 9 novembre 2010

Elogio degli aforismi

 L'aforisma - frase in genere lapidaria e concisa - è quanto di  più efficace possa essere preso a prestito per esprimere con immediatezza e senza fronzoli la forza essenziale di un concetto condiviso o per compendiare sinteticamente la visione del mondo che uno ritiene di avere in comune con l'autore della massima. È certamente un modo sbrigativo e forse indolente per sottrarsi alla creatività, all'originalità ed alla fatica di fare ricorso alla propria capacità non solo di elaborare concetti ma anche di fornire l'indispensabile struttura verbale e formale che ne sorregge la sostanza.
Non tutti però hanno l'abilità di saper produrre questi autentici gioielli del pensiero che sono appunto gli aforismi.
In questi casi è più conveniente ricorrere a chi è stato più bravo di noi.
Ne cito uno che mi ha particolarmente colpito, che condivido in tutto e che ho letto durante un giro in pulman per la città di Genova.
"La guerra è la lezione della storia che i popoli non ricordano mai abbastanza".
Non vedo come si sarebbe potuto (o si potrebbe) esprimere meglio il concetto!
P.S.: anche l'anonimo autore di questa esortazione scritta su una saracinesca, sempre a Genova, non scherza mica!

sabato 6 novembre 2010

François Mauriac

Una splendida pagina di uno straordinario scrittore cattolico francese. Eccola:
Il Dio in agguato

A chi di noi l'albergo d'Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi.
Ce l'avevano preso: il mondo, i filosofi e gli scienziati, nostra passione. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla strada. Noi seguivamo una strada, e qualcuno ci veniva a lato. Eravamo soli e non soli.
Era la sera. Ecco una porta aperta, l'oscurità di una sala dove la fiamma del caminetto non rischiara che il suolo e fa tremolare delle ombre. O pane spezzato! O porzione del pane consumata malgrado tanta miseria! «Rimani con noi, perché il giorno declina...».
Il giorno declina, la vita finisce. L'infanzia sembra più lontana che il principio del mondo; e della giovinezza perduta non sentiamo più altro che l'ultimo mormorio degli alberi morti del parco irriconoscibile.
«Quando furono presso il villaggio dove erano indirizzati, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi gli fecero forza dicendo: "Rimani con noi, perché si fa tardi e il giorno declina".
Egli entrò nel villaggio per rimanere con loro. Ed essendosi messo a tavola con loro, prese il pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e lo distribuì. Allora i loro occhi si aprirono e lo riconobbero; ma egli sparì. Ed essi dissero l'uno all'altro: "Non bruciava il nostro cuore mentre ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?"».
Un'altra volta Pietro, Tommaso, Natanaele, Giacomo e Giovanni pescavano. Erano ritornati al loro mare di Tiberiade, alla loro barca, alle loro reti: «S'erano sistemati...», dovevano pensare alle famiglie.
Ma non prendevano nulla.
Uno sconosciuto disse loro di gettare la rete a destra. Presero tanti pesci che Giovanni d'un tratto comprese e disse a Pietro: «E' il Signore! E' il Signore!». E Pietro si gettò nel mare per raggiungere al più presto il suo Diletto. Egli è lì, sulla riva. E' ben lui.
Alcuni tizzi fumano. Il sole asciuga le vesti di Pietro. Fanno cuocere la loro pesca; mangiano il pane che loro è dato da Gesù, al quale non hanno neppure domandato: Chi sei? - Non si è mai del tutto sicuri che sia Lui. Ma sì! Mio Dio, sei tu, sei ben tu che d'improvviso poni la domanda...: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». «Veramente, Signore, tu sai che io t'amo». «Pasci le mie pecore...».
Tre volte questo dialogo si scambia sulla spiaggia, al margine del lago.
Poi Gesù si allontana, e Pietro lo segue; e Giovanni un po' appresso a lui, come avesse perduto il suo privilegio di "più amato", come se il Signore resuscitato non indulgesse più a quella preferenza del suo cuore. Tuttavia pronuncia riguardo al figlio di Zebedeo delle parole misteriose che faranno credere agli altri discepoli che Giovanni non conoscerà la morte.
E quando, qualche settimana più tardi, Gesù si toglie dal gruppo dei discepoli, sale e si dissolve nella luce, non si tratta d'una partenza definitiva. Già egli è imboscato, alla svolta della strada che va da Gerusalemme a Damasco, e spia Saulo, il suo diletto persecutore. D'ora innanzi, nel destino di ciascun uomo, vi sarà questo Dio in agguato.

F. Mauriac, «Vita di Gesù», Mondadori, Milano 1993

giovedì 4 novembre 2010

Preghiera (o ricetta) per non invecchiare

Signore, fa che io sia del mio tempo
e non della mia età,
che non mi affezioni alle idee
come un avaro al gruzzolo
ma ne controlli, spesso, la validità.
Aiutami a non prendermi troppo sul serio.
A sorridere dei miei successi
come dei fiaschi.
Fammi guardare con simpatia
a ciò che fanno gli altri,
specialmente se tentano qualcosa
che non ho mai pensato,
oppure si avventurano in territori
dove non mi sono mai arrischiato.
Che sappia comprendere più che giudicare,
apprezzare più che condannare,
incoraggiare più che diffidare.
Fa che resista alla tentazione di raccontarmi.
Fammi capire che è importante
ciò che faccio oggi,
non ciò che ho fatto anni fa
e che gli altri hanno il diritto
di avere da me ciò che sono,
non ciò che sono stato.
Signore, impediscimi
di fare l'abitudine a me stesso,
al solito che conosco bene
e che ormai tendo ad accettare
o sopportare come si accetta o sopporta
un vecchio conoscente.
Aiutami a sorprendermi,
ad obbligarmi ogni giorno
a riconoscermi nuovo, diverso, inedito,
a studiarmi sconosciuto, accettarmi altro,
esplorarmi oltre i confini abituali,
accogliermi inaspettato,
frequentarmi insolito. Amen

mercoledì 3 novembre 2010

La mia sera


Ho appena finito di ascoltare e di gustare - magistralmente recitata da Mario Scaccia - "La mia sera" di Giovanni Pascoli. E' una lirica che fa parte de "I canti di  Castelvecchio" e che rappresenta molto bene la poetica pascoliana, ricca di sfumature crepuscolari dolcissime e intimiste. Vorrei proporla all'attenzione dei mei dieci lettori. Eccola.

lunedì 1 novembre 2010

Map-Loco ovvero l'emozione dei pallini blu sul mappamondo...

Provo una certa emozione quando vedo che il mio blog è letto - probabilmente solo per  caso fortuito e per pura coincidenza - da questa selva di puntini blu, pardon di visitatori, concentrati soprattutto negli USA e in Europa. 
Per questo invio un saluto cordiale a ciascuno dei puntini blu ovvero a ciascuno dei blogger che mi onorano della loro amicizia.

Primavera

Le vergini gemme di marzo Allietano i rami di pesco Neppur lo splendore del quarzo M’apparve più raro e più fresco!