domenica 27 maggio 2012

Gli adulatori e i menzognieri sono da assolvere!

A fianco dell’amor proprio trovasi sempre la sua buona sorella l’adulazione. Imperocché, ditemi un poco, in che cosa consiste l’amor proprio? Non consiste egli forse nell’accarezzare, nel compiacere, nell’adular sé stesso? Al giorno d’oggi ha la disgrazia questa povera adulazione di essere molto screditata: ma da chi? Da tutte quelle persone che s’offendono più dei nomi, che delle cose. Si crede che l’adulazione non possa combinarsi con la buona fede; oh che falsa idea! Le bestie stesse non ci fanno vedere l’opposto? Invano si cercherebbe un animale più cortigiano ed adulatore del cane, e ciò non ostante chi può vantarsi d’essere più fedele di lui? Lo scoiattolo addimesticato cerca sempre di giuocare ed è perciò forse men amico dell’uomo? Non ignoro che v’ha una pessima adulazione, per mezzo della quale i furbi e i beffardi sogliono rovinare, o prendersi giuoco dei miseri stolti e vanagloriosi, ma questa non è la mia adulazione prediletta; e voglia il cielo ch’io mai non la conosca! La mia nasce dalla dolcezza, dalla bontà, dalla rettitudine del cuore; e tanto s’avvicina alla virtù, quanto n’è lontano un carattere ruvido, insocievole e molesto, e come dice Orazio che disgusta ed allontana. La mia adulazione rianima gli spiriti avviliti, rallegra i malinconici, stimola i poltroni, risveglia gli stupidi, solleva gl’infermi, calma i furibondi, forma e mantiene gli amori. La mia adulazione alletta i figliuoli alla fatica ed allo studio, consola i vecchi; e sotto il manto della lode rimprovera ed istruisce i monarchi senza oltraggiarli: la mia adulazione finalmente fa che gli uomini, a guisa d’altrettanti Narcisi, siano innamorati di sè stessi, dal che nasce la principale felicità della vita. 
Chi mai vide un ufficio più tenero e più obbligante di quello che si prestano due buoni ed onesti somari strofinandosi vicendevolmente? Egli è a questo minuto uffizio, a cui in gran parte è diretta l’eloquenza, molto la medicina, e più di tutto la poesia: dico inoltre che quest’adulazione è il mele, è il condimento di tutta l’umana società. I savj dicono, che un gran male è l’essere ingannato, ed io invece sostengo, che il non esserlo è il maggiore di tutti i mali. È una grande stravaganza il voler far consistere la felicità dell’uomo nella realtà delle cose, mentre essa propriamente dipende solo dall’opinione. Tutto è nella vita così oscuro così diverso, così opposto che non possiamo assicurarci di alcuna verità. Tale era appunto il principio dei miei accademici, i quali si mostravano in questo meno orgogliosi di tutti gli altri filosofi. Che se vi sono delle verità, le quali per essere ben dimostrate non lasciano luogo a dubbio, dimando io, quanto non disturbino la tranquillità e i piaceri della vita? Gli uomini finalmente vogliono essere ingannati, e sono sempre pronti a lasciare il vero per correr dietro al falso. Ne bramate una prova sensibile e incontrastabile? Andate alle prediche, e vedrete, che quando lo schiamazzatore (oh che ingiuria! perdonatemi mi sono ingannata) voleva dire, quando il predicatore tratta la materia seriamente, e colla ragione alla mano, allora si dorme, si sbadiglia, si tossisce, si soffia il naso, si abbandona il corpo, e si annoia da tutte le parti: ma se l’oratore intesse, come spesso accade, qualche vecchia favoletta, o qualche prodigio di leggenda, allora tosto si scuote l’udienza, si destano i sonnacchiosi, tutti gli uditori alzano la testa, spalancano gli occhi, tendono le orecchie. Non avete mai fatto osservazione, che quando si celebra in chiesa la festa di qualcuno di que’ santi poetici, e romanzeschi, per esempio d’un S. Giorgio, d’un S. Cristoforo, d’una santa Barbara, suole spiegarsi una pompa, ed una divozione assai maggiore di quella, colla quale si festeggiano e S. Pietro, e S. Paolo, ed anche lo stesso Redentore? Ma non è questo il luogo di tal questione.
Ritorniamo al nostro assunto. Quanto costa mai poco l’acquisto della felicità d’opinione! Quelli che cercano di riporre la felicità nel godimento delle cose, osservino, di grazia, quali e quante pene sogliono cagionare gli oggetti anche meno importanti. Possiamo giudicarlo dalle sole difficoltà, che s’incontrano nello studio della grammatica. L’opinione all’incontro si concepisce senza sforzo, s’insinua da sè medesima nel cuore, e contribuisce egualmente, e forse più dell’evidenza e della realtà delle cose, alla felicità della vita. Se un affamato mangia dei salumi imputriditi, al cui fetore un altro sarebbe obbligato a turarsi il naso, e li mangia con tanto gusto, come se fossero il cibo più squisito, dimando io, s’egli è per questo meno felice? All’incontro se uno svogliato mangiasse delle vivande eccellenti, ma senza provarne alcun gusto, anzi con nausea, in tal caso ove sarebbe la sua felicità? Per un uomo che abbia una bruttissima moglie, ma che a lui paia perfettamente bella, non è lo stesso come se avesse sposato una Venere? Quello stolto che avendo un cattivo e miserabilissimo quadro, crede di possedere una pittura di Zeusi o d’Apelle, e mai non si stanca di contemplarlo e di ammirarlo, non è egli incomparabilmente più felice di colui, che avendo pagato a caro prezzo un quadro di questi eccellenti pittori, non provasse un egual piacere a contemplare le opere loro?
Conosco un uomo, che ha l’onore di portare il mio nome, il quale poco dopo le nozze regalò a sua moglie dei falsi brillanti, ed essendo costui un faceto corbellatore, fece credere alla sposa che quelle pietre fossero buone, e che gli costassero una gran somma. Ora, cosa mancava al piacer della sposa? Ella godeva di ornarsi con questi pezzi di vetro; non si stancava mai di rimirarli, ed era contentissima di possedere questo immaginario tesoro, come se fosse stato reale. Intanto il marito avea risparmiato una spesa non indifferente, e godeva dell’errore di sua moglie, la quale gli professava la stessa obbligazione, come se le avesse fatto un magnifico regalo.
Meritano d’esser posti in questa classe gli abitatori della caverna di Platone. Vedono gli stolti le ombre, e i simulacri delle diverse cose; gli ammirano; ma non cercano di più, e ne sono contentissimi: osservano anche i filosofi gli stessi oggetti; ma essendo fuori della caverna, ne approfondiscono i misterj. Gli uni e gli altri non ne provano forse lo stesso piacere? Se il ciabattino Micillo, di cui parla Luciano, avesse potuto passare il resto de’ suoi giorni in quel bellissimo sogno che faceva mentre lo hanno svegliato, qual migliore felicità avrebb’egli potuto augurarsi? Non passa dunque alcuna differenza tra i savi ed i pazzi, se pure non sono più felici i secondi. Sì, questi lo sono senz’altro per due titoli, uno, perché la felicità de’ pazzi non costa niente, basta a formarla un poco di persuasioncella; l’altro, perché i miei pazzi sono felici insieme con molti altri: imperocché egli è impossibile di gustare un bene, quando si goda solo. I savi poi sono in numero così scarso, che non meritano nemmeno la pena di parlarne, e bramerei anche di sapere s’egli è possibile di rinvenirne qualcuno? Nel corso di tanti secoli la Grecia si vanta d’aver prodotti solo sette sapienti: gran prodigio invero! Il genere umano, se si vuole, è molto debitore a questa felicità della Grecia! Ve ne sono stati dunque sette? Pregate però il cielo che non vi venga il prurito di notomizzarli con accuratezza; altrimenti (vi giuro per Ercole, e ci scommetto la testa) non trovate certamente una metà di filosofo, e forse neppure un terzo.

Da "Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam

2 commenti:

Tomaso ha detto...

Caro Pino il tuo longo post ci fa veramente riflettere è sempre difficile il giorno d'oggi che cosa vediamo e perché continuiamo a crederci anche se non comprendiamo il perché. Scusa se ho usato parole non facili da capire, ma ne sono sicuro che tu mi hai perfettamente capito amico mio.
Tomaso

Evergreen ha detto...

Il post non è mio, caro Tomaso. Io mi sono soltanto limitato a pubblicare alcune pagine tratte da "Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam. Un piccolo capolavoro di ironia sempre attuale.
Buona serata, caro amico!
Pino

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