lunedì 21 maggio 2012

I vescovi, i cardinali, i papi e la follia...

"La vita de’ principi e de’ grandi mi ha guidato naturalmente a parlare anche di quella dei papi, de’ cardinali e de’ vescovi. Egli è già da lungo tempo che questa sacra genia imita con una mirabile emulazione i re ed i satrapi loro; anzi non avrei alcuno riguardo a dire che gli abbia ancora superati. Ora bramerei che per divertimento un vescovo si mettesse un poco a considerare il suo corteggio e i suoi pontificali ornamenti. Se un vescovo riflettesse che la candidezza del suo rocchetto significa una vita affatto immacolata, che la mitra bicornuta, le cui estremità sono allacciate da un nodo, dinota una profonda cognizione del vecchio e del nuovo Testamento; che le mani coperte dai guanti esprimono un cuore purgato da ogni mondano contagio dall’amministrazione de’ sacramenti; che la croce delle scarpe lo avverte di vigilare continuamente il gregge a lui affidato; che la prelatizia croce pendentegli sul petto è il segno d’una compiuta vittoria su tutte le umane passioni: se il nostro prelato, io dico, riflettesse a tutte queste belle cose, ed a molte altre ch’io sopprimo, non è egli vero che diverrebbe magro, pensieroso, macilente, ipocondriaco? Farebbe veramente pietà! Ma no, non dubitate; io ho rimediato a tutto. Ho consigliato a questi sedicenti successori degli Apostoli di battere una strada diametralmente opposta alla loro, ed alcuno meglio di loro non ha giammai saputo approfittare de’ miei consigli. Infatti lo scopo principale dei nostri illustrissimi e reverendissimi, è quello di vivere allegramente; al gregge vi pensi Gesù Cristo. Inoltre non hanno forse i loro arcidiaconi, i loro vicarj generali, i loro penitenzieri, i lordi frati e mille altri fedeli mastini, che stanno sempre in guardia contro il lupo dell’inferno? I vescovi hanno perfino dimenticato che il loro nome preso alla lettera significa lavoro, cura, sollecitudine per la salute delle anime; ma non si dimenticano per bacco quando si tratta di prerogative e di danaro!
Vantansi i venerabili cardinali di discendere per linea diretta dagli Apostoli ma vorrei che filosofassero un poco sul loro abito, e facessero quest’apostrofe a se stessi: « Se discendo dagli Apostoli, perchè non fo io dunque quanto eglino hanno fatto? Io non sono il padrone, ma semplice dispensatore delle grazie spirituali; e ben presto dovrò render conto della mia amministrazione. Che cosa significa questa nivea candidezza dei mio rocchetto, se non una somma purità di costumi? Che vuol dire questa sottana di porpora se non un ardente amore verso Dio? Che dinota questa cappa dello stesso colore (cappa sì ampia e spaziosa, che non solo basta a coprire tutta la muta dell’eminentissimo, ma che potrebbe coprire insieme col cardinale anche un camelo), se non una carità illimitata, e sempre pronta a soccorrere il prossimo, vale a dire a istruire, a correggere, ad esortare, a calmare il furor delle guerre, a resistere ai principi malvagi, a dare volentieri tanto il suo sangue, quanto le sue ricchezze pel bene della Chiesa? A che servono tanti tesori? Coloro che pretendono di rappresentare l’antico collegio degli Apostoli non dovrebbero prima di tutto imitare, la loro povertà? » Io dico, che se i cardinali facessero a sè stessi una simile apostrofe, e riflettessero seriamente a questi punti, o restituirebbero ben presto il loro cappello, o menerebbero una vita laboriosa, austera, piena di disgusti e di sollecitudini, come appunto facevano i primitivi Apostoli della Chiesa.
Prosterniamoci ora ai piedi del sommo pontefice, e baciamo religiosamente la santa pantofola. I papi diconsi vicarj di Gesù Cristo; ma se attendessero a conformarsi alla vita di Dio loro maestro, se praticassero la sua povertà e la sua dottrina, se soffrissero pazientemente i suoi patimenti, la sua croce e mostrassero il suo disprezzo del mondo; se riflettessero seriamente al bel nome di papa, cioè di padre ed all’epiteto di santissimo, con cui vengono onorati; chi sarebbe mai più infelice di loro? Chi vorrebbe mai comperare con tutto il suo avere questa carica eminente, o chi mai, essendovi stato innalzato, vorrebbe per sostenervisi impiegare la spada, i veleni, ed ogni sorta di violenze? Ahi quanti beni perderebbero se la saviezza s’impadronisse per un istante dell’animo loro? Che dico la saviezza? Se avessero un granellino soltanto di quel sale, di cui parla il Salvatore. Perderebbero allora quelle immense ricchezze, quegli onori divini, quel vasto dominio, quel pingue patrimonio, quelle vittorie fastose; tutte quelle cariche, quelle dignità e quegli uffizj che compartono; tutte quelle tasse che percepiscono tanto ne’ propri, come negli stati altrui, il frutto di tutte quelle dispense e di quelle indulgenze, che si van trafficando con tanto vantaggio, quella corte numerosa di cavalli, di muli, di servi: quelle delizie, e que’ piaceri che godono continuamente. Osservate, osservate quante cose verrebbero a perdere; eppure questo non è che un’ombra della pontificia felicità. A tutti questi beni succederebbero tosto le veglie, i digiuni, le lagrime, le preghiere, i sermoni, le meditazioni, i sospiri e mille altri travagli di simil natura. Aggiungiamo inoltre che tanti scrittori, tanti copisti, tanti notai, tanti avvocati, tanti promotori, tanti segretaij, tanti banchieri, tanti scudieri, tanti palafrenieri, tanti ruffiani (silenzio su questo punto, bisogna rispettare le caste orecchie) tutta finalmente quella prodigiosa turba di persone d’ogni classe, che rovinano (voleva dire che onorano) la sede di Roma; sì, diciamo pure, che tutta questa turba potrebbe allora far conto di morir di fame. Sarebbe un delitto il più barbaro, il più abbominevole, il più detestabile di tutti il voler ridurre alla bisaccia ed al bastone i supremi monarchi della Chiesa, i veri luminari del mondo. Toccava, dicono essi, a Pietro ed a Paolo a viver d’elemosina, ed a questi abbandonano pure tutto il peso del pontificato, giacchè hanno tutta la comodità di sostenerlo, riserbandosi per essi soltanto ciò che v’ha di splendido e di piacevole. Ma dimando io se in questo non la pensino assai bene?
È dunque avvenuto per opera mia, che niuno più che i papi viva nell’ozio e nella mollezza; e purché le loro episcopali funzioni consistano in ornamenti misteriosi e quasi teatrali, in cerimonie, in titoli fastosi di beatissimo, di reverendissimo, di santissimo, in benedizioni e maledizioni, credono d’avere abbondantemente soddisfatto a Gesù Cristo, e non saprebbero sospettare che cosa loro potesse rinfacciare un giorno. Al presente non fa più bisogno di far miracoli; istruire il popolo, costa molta fatica; spiegare la Scrittura, sente dello scolastico; pregare, bisognerebbe aver tempo; piangere, convien solo alle donnicciole; esser povero, oh la brutta cosa! lasciarsi vincere, è troppo vergognoso ed indegno d’un uomo, che appena ammette al bacio del beatissimo piede i re più potenti; morire finalmente, ah questa è la cosa più amara di tutte! esser crocifisso, ohibò, questa è un’orribile infamia! Or dunque tutte le armi de’ papi consistono in quelle dolci benedizioni; di cui parla S. Paolo e delle quali non ne sono avari; consistono esse in interdetti, in sospensioni, gravami, in anatemi, in vendicatrici pitture, e in quel fulmine terribilissimo, col quale un beatissimo padre può cacciare a suo grado qualunque anima anche al di là dell’ inferno. I nostri SS. Padri in Cristo, e i loro vicarj generali non sogliono mai adoperare con maggiore zelo questo spaventevole castigo, che contro coloro i quali, ad instigazione del demonio, tentano di diminuire, o denticchiare i patrimonj di S. Pietro. Diceva questo buon apostolo al suo Maestro: noi abbiamo lasciato tutto per seguirti. Capperi, che gran sagrificio ha fatto questo povero pescatore! Ella è ben’altra cosa la fortuna che ha fatto in conseguenza di questa rinuncia; imperocché sua santità glorificata possede e terre, e città, e dominj, percepisce imposte e dazj; anzi egli è soprattutto per difendere, e conservare questo ricco acquisto, che i romani pontefici sogliono condannare le anime. Egli è vero però che non risparmiano nemmeno i corpi, poiché infiammati dallo zelo di Gesù Cristo innalzano lo stendardo di Marte, ed impiegano senza pietà il ferro e il fuoco per sostenere le loro ragioni.
Voi ben vedete che non può farsi una simile guerra senza spargimento di sangue cristiano; ma che importa? rispondono i papi: noi difendiamo apostolicamente la causa della Chiesa, e non deporremo le armi, se non quando avrem vendicata la sposa di Gesù Cristo contro i suoi nemici. Ma vorrei un poco sapere se vi siano per la Chiesa nemici più perniciosi di quegli empj pontefici, i quali piuttosto che predicare Gesù Cristo lasciano andare in dimenticanza il suo nome, i quali la mettono all’incanto con leggi da moneta, i quali alterano la sua dottrina con obbligatorie interpretazioni, i quali finalmente lo distruggono con esempj pestilenziali.
Inoltre siccome la Chiesa Cristiana è stata fondata col sangue, è stata confermata col sangue, è stata dilatata col sangue, così i papi la governano col sangue, come se più non esistesse Gesù Cristo per proteggerla e sostenerla. La guerra è per sua natura così crudele, che assai meglio converrebbesi alle fiere, che agli uomini; è così forsennata che i poeti l’hanno attribuita alle furie d’Averno; è così pestilenziale, che tutti corrompe i costumi; è talmente iniqua, che suol farsi meglio dai più cattivi ladroni, che dagli uomini probi e virtuosi; è finalmente così empia, che non ha nessuna relazione con Gesù Cristo, nè colla sua morale: ciò non ostante alcuni pontefici abbandonano tutte le loro funzioni pastorali per consecrarsi interamente a questo flagello dell’umanità. Tra questi papi guerrieri vedonsi fin anche de’ vecchi, che agiscono con tutto il vigore della gioventù, che nulla considerano il danaro, che sopportano coraggiosamente le fatiche, e che non hanno il minimo scrupolo a metter sossopra le leggi, la religione e l’umanità. Nè mancano eruditi adulatori, che a questo manifestissimo delirio diano il nome di zelo, di pietà, di valore; e trovino delle ragioni da provare che sfoderare la spada, ed immergerla nel cuore del suo fratello, non è assolutamente un infrangere il gran comandamento della carità del prossimo. Per verità sono ancora dubbiosa se i papi, in materia di guerra, abbiano seguito l’esempio di alcuni vescovi della Germania, oppure se questi vescovi siansi creduti autorizzati dalla condotta de’ papi a intraprender la guerra."
Elogio della follia - Erasmo da Rotterdam

5 commenti:

Tomaso ha detto...

Buona notte caro Pimo.
Tomaso

Tiziano ha detto...

Ciao pino post che fa riflettere
buona notte

Tiziano.

Liliana ha detto...

Ciao Pino.
Scusa se spesso non sono passata da te, ma ci sono giorni, periodi in cui non mi va' di scrivere, oppure quando non riesco a capire qualche post, data la mia ignoranza, o se qualcosa non mi è chiara, preferisco non dare un mio banale giudizio.
Comunque voglio ricordarti che non ti ho dimenticato. Ti saluto e ti auguro una buona serata.

Liliana

Anonimo ha detto...

Non preoccuparti, cara Liliana! Chi riconosce di essere ignorante non lo è affatto, perchè riconosce di sapere di non sapere. E già questo è sapere! Scusa il bisticcio di parole. Un caro saluto e buon pomeriggio.

Liliana ha detto...

Ah! Che simpatico che sei! Capisco il senso. ;-) Mi piace il bisticcio!
Grazie. Ciao Pino. Buon fine settimana.

Liliana

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