Dal tenore degli argomenti trattati, dal tono delle risposte date ad alcuni miei dissonanti commenti, ho tratto l'impressione che il problema della povertà, la pratica della carità e della tolleranza non sono affatto di casa tra certa gente per bene che, con grande disinvoltura, passa dalla difesa della Messa in latino alla denigrazione di testimoni genuini del Vangelo come don Tonino Bello; tra certa gente che arriva a legittimare, giudicandole secondo teologia, le fortune politiche dell'esponente italiano più in vista della pluto-velinocrazia e, quindi, uno dei più accreditati testimoni di Mammona ma che non spende una parola di solidarietà per i fratelli che si arrabbattano tra le mille difficoltà del vivere quotidiano.
Così, ad esempio, per queste ineffabili persone, avviene che il "pane di ogni giorno" invocato nel Padre Nostro non è certo il pane impastato di farina, lievito ed acqua.
Quell'alimento prezioso e vitale per l'esistenza di tutti - per loro - è tutt'altra cosa. Si tratta di un pane diafano, aereo, spirituale, teologico e, per questo, perfettamente inadatto a sfamare pancia e stomaco vuoti.
Allo stesso modo, per questi spiriti eletti, Mammona non è più il denaro, il vile, diabolico denaro che è alla base delle profonde divisioni tra le categorie ed i gruppi sociali ma si identifica (sic) con l'ideologia catto-comunista-dossettiana. Così facendo, si svuotano - con evidente perfidia e con consapevole intenzione - le parole del loro stesso significato.
Pane è pane. Denaro è denaro. Cristianesimo è Cristianesimo.E un cristianesimo (la minuscola è voluta) ridotto a pura speculazione teologica, un cristianesimo fatto di cieli ma senza la terra, un cristianesimo arroccato su dogmi e visioni mariane, un cristianesimo edulcorato da sacricuorismi e sentimentalismi, un cristianesimo svuotato del messaggio rivoluzionario delle origini, un cristianesimo condito unicamente di riti e formalismi semipagani ma senza il sale del Vangelo, un cristianesimo non in grado di cambiare il mondo, un cristianesimo che non riesce a calarsi nella vita e nei bisogni delle persone, un cristianesimo sordo alle necessità del povero, un cristianesimo che strizza l'occhio al potere divenendo esso stesso strumento di potere, un cristianesimo chiuso tra le mura delle sacrestie, un cristianesimo con le mani perennemente giunte per evitare di sporcarsele al contatto con la miseria, un cristianesimo che pretende di salvare solo le anime dannando i corpi, un cristianesimo - infine - dal quale è assente la sobrietà, non è il Cristianesimo con la C maiuscola.
Non vorrei passare per un marziano o per uno che vive in un mondo tutto suo assecondando inguaribili inclinazioni al pauperismo. Credo al contrario di essere in ottima compagnia.
Le voci degli apostoli, le voci dei padri della Chiesa, le pagine più intense del Vangelo risuonano del richiamo drammatico, insistito, persuasivo alla miseria. Il Cristianesimo è nato e si è sviluppato nelle umili comunità degli ultimi, dei poveri, degli schiavi. Il corpo dei fedeli ha scosso le fondamenta del regime pagano e rovesciato un mondo unicamente ad opera di questa oscura maggioranza composta da disprezzati e da diseredati.
San Giacomo e Paolo proclamavano i poveri "eredi del Regno", san Giovanni Crisostomo e san Gerolamo denunciavano le oppressioni della ricchezza. Nella città di Dio il primo posto l'ha sempre avuto colui al quale nulla appartiene.
Oggi pare che non sia più così. Al primo posto siedono (e con tutti gli onori) coloro che sguazzano nella ricchezza.
Oggi pare che non sia più così. Al primo posto siedono (e con tutti gli onori) coloro che sguazzano nella ricchezza.
La rivoluzione della croce fece appello non ai ricchi ed ai possidenti della terra ma a coloro che il mondo disprezza a causa della loro miseria.
Tutto questo dovrebbe essere ben chiaro alla mente ed al cuore di ogni cristiano.
A Bossuet, per esempio, tutto questo era chiarissimo.
Ecco cosa diceva puntando il dito verso i nobili del suo uditorio durante i celebri sermoni al Re ed alla Corte di Francia:
"Muiono di fame nelle vostre terre, nei vostri feudi, nelle città e nelle campagne, alla porta e nei pressi dei vostri palazzi, e nessuno accorre in loro aiuto".
Ed ancora:
"I poveri che voi tanto disprezzate Dio li ha fatti suoi tesorieri ed esattori generali; Egli vuole che si consegni nelle loro mani tutto il danaro che deve entrare nei suoi forzieri".
"Nel suo primo piano la Chiesa non è stata costituita che per i poveri; essi sono i veri cittadini della beata città che la Scrittura ha chiamato la città di Dio".
"Le grazie appartengono di diritto ai poveri, e i ricchi non le ricevono che dalle loro mani".
"La chiesa di Gesù Cristo è veramente la città dei poveri. I ricchi, non ho timore di dirlo, in questa loro qualità di ricchi, - poichè bisogna parlare correttamente, - i ricchi appartengono al seguito del mondo e portando per così dire il suo conio, non vi sono che tollerati; ai poveri, agli indigenti, che portano il segno del Figlio di Dio, spetta propriamente esservi ricevuti."
Queste le parole pronunciate davanti al Re: "Considerate i vostri accusatori, sono i poveri che si leveranno contro la vostra inesorabile durezza".
E questi gli appunti affrettati e incompiuti del Vescovo francese per il sermone del Venerdì Santo:
"Dio ascolta le maledizioni dei poveri; le ascolta e le castiga: per giustizia contro di essi, per giustizia contro di noi...Le loro mormorazioni, giuste. Perchè questa ineguaglianza di condizione? Tutti formati dello stesso fango...".
Se un prete o vescovo dicesse oggi a bassa voce le stesse cose che Bossuet aveva il coraggio di gridare al cospetto del Re Sole, verrebbe etichettato da certa gente per bene come comunista, bolscevico o cattocomunista-dossettiano.
Ma chi ispirò Bossuet, chi ispirò don Tonino Bello, chi ispira ogni cristiano maturo e consapevole è lo stesso Dio dei poveri, che morì suppliziato, fuori porta, per ordine dei ricchi e dei potenti ma che volle morire.
E Bossuet, sempre rivolgendosi ai nobili, li invitava sì a contemplare qualche eccellente pittura del Crocifisso ma al tempo stesso li esortava a guardare con occhi di com-passione qualcosa di meglio e più alla nostra portata: la miseria umana, "pittura viva e parlante che dà l'espressione naturale di Gesù morente".
Lo stesso Paolo del resto scriveva: "Gesù sofferente nei poveri, abbandonato nei poveri, paziente nei poveri".
Da questo principio derivano conseguenze pratiche che recano pregiudizio al nostro benessere, al nostro andazzo, a tutto il complesso di negligenze e di complicità su cui fondiamo la nostra vita.
I cristiani non sono chiamati a salvare situazioni sociali, né abitudini, né agi. Troppo spesso si crede di difendere valori superiori e non si coprono che sordidi interessi.
Ad essi viene chiesto semplicemente di riconoscere nel volto del povero il volto stesso di Dio.
Il giudizio verterà solo ed unicamente su questo. I cristiani che avranno dato esclusiva importanza ai dogmi o alle pratiche religiose e non avranno tradotto in comportamenti pratici il memorabile discorso della montagna e la splendida pagina del giudizio finale (Matteo 25, 31-40) non credo che potranno avere molte possibilità di salvezza.
P.S.: questo mio post deve molto ad un aureo libricino (di appena 99 pagine ma denso di pensiero) che mi colpì negli anni della mia giovinezza e che, ancor prima del catechismo di Santa Romana Chiesa, proporrei a tanti cattolici o a tanti cristiani "frivoli e leggeri". Eccolo. Le parti in corsivo sono tratte quasi integralmente dal capitolo III.
Tutto questo dovrebbe essere ben chiaro alla mente ed al cuore di ogni cristiano.
A Bossuet, per esempio, tutto questo era chiarissimo.
Ecco cosa diceva puntando il dito verso i nobili del suo uditorio durante i celebri sermoni al Re ed alla Corte di Francia:
"Muiono di fame nelle vostre terre, nei vostri feudi, nelle città e nelle campagne, alla porta e nei pressi dei vostri palazzi, e nessuno accorre in loro aiuto".
Ed ancora:
"I poveri che voi tanto disprezzate Dio li ha fatti suoi tesorieri ed esattori generali; Egli vuole che si consegni nelle loro mani tutto il danaro che deve entrare nei suoi forzieri".
"Nel suo primo piano la Chiesa non è stata costituita che per i poveri; essi sono i veri cittadini della beata città che la Scrittura ha chiamato la città di Dio".
"Le grazie appartengono di diritto ai poveri, e i ricchi non le ricevono che dalle loro mani".
"La chiesa di Gesù Cristo è veramente la città dei poveri. I ricchi, non ho timore di dirlo, in questa loro qualità di ricchi, - poichè bisogna parlare correttamente, - i ricchi appartengono al seguito del mondo e portando per così dire il suo conio, non vi sono che tollerati; ai poveri, agli indigenti, che portano il segno del Figlio di Dio, spetta propriamente esservi ricevuti."
Queste le parole pronunciate davanti al Re: "Considerate i vostri accusatori, sono i poveri che si leveranno contro la vostra inesorabile durezza".
E questi gli appunti affrettati e incompiuti del Vescovo francese per il sermone del Venerdì Santo:
"Dio ascolta le maledizioni dei poveri; le ascolta e le castiga: per giustizia contro di essi, per giustizia contro di noi...Le loro mormorazioni, giuste. Perchè questa ineguaglianza di condizione? Tutti formati dello stesso fango...".
Se un prete o vescovo dicesse oggi a bassa voce le stesse cose che Bossuet aveva il coraggio di gridare al cospetto del Re Sole, verrebbe etichettato da certa gente per bene come comunista, bolscevico o cattocomunista-dossettiano.
Ma chi ispirò Bossuet, chi ispirò don Tonino Bello, chi ispira ogni cristiano maturo e consapevole è lo stesso Dio dei poveri, che morì suppliziato, fuori porta, per ordine dei ricchi e dei potenti ma che volle morire.
E Bossuet, sempre rivolgendosi ai nobili, li invitava sì a contemplare qualche eccellente pittura del Crocifisso ma al tempo stesso li esortava a guardare con occhi di com-passione qualcosa di meglio e più alla nostra portata: la miseria umana, "pittura viva e parlante che dà l'espressione naturale di Gesù morente".
Lo stesso Paolo del resto scriveva: "Gesù sofferente nei poveri, abbandonato nei poveri, paziente nei poveri".
Da questo principio derivano conseguenze pratiche che recano pregiudizio al nostro benessere, al nostro andazzo, a tutto il complesso di negligenze e di complicità su cui fondiamo la nostra vita.
I cristiani non sono chiamati a salvare situazioni sociali, né abitudini, né agi. Troppo spesso si crede di difendere valori superiori e non si coprono che sordidi interessi.
Ad essi viene chiesto semplicemente di riconoscere nel volto del povero il volto stesso di Dio.
Il giudizio verterà solo ed unicamente su questo. I cristiani che avranno dato esclusiva importanza ai dogmi o alle pratiche religiose e non avranno tradotto in comportamenti pratici il memorabile discorso della montagna e la splendida pagina del giudizio finale (Matteo 25, 31-40) non credo che potranno avere molte possibilità di salvezza.
P.S.: questo mio post deve molto ad un aureo libricino (di appena 99 pagine ma denso di pensiero) che mi colpì negli anni della mia giovinezza e che, ancor prima del catechismo di Santa Romana Chiesa, proporrei a tanti cattolici o a tanti cristiani "frivoli e leggeri". Eccolo. Le parti in corsivo sono tratte quasi integralmente dal capitolo III.
A proposito di atei e di atei militanti le rispondo con un pensiero non mio che però condivido pienamente: “Ci sono atei di un’asprezza feroce che tutto sommato si interessano di Dio molto di più di certi credenti frivoli e leggeri.”