lunedì 20 febbraio 2012

Hic et nunc ovvero il paradiso può attendere


Le esternazioni dello stravagante predicatore di Sanremo, i suoi inviti ai giornali cattolici ed alla Chiesa di occuparsi più del paradiso che dei bisogni materiali degli uomini mi lasciano perplesso. 
Forse sarebbe il caso di dire: da che pulpito viene la predica! È un pulpito strapagato e milionario. Ma vado oltre.
Ho sempre pensato che il paradiso e l'inferno siano il frutto di un cinico terrorismo psicologico che risale alla visione ed al culto degli Orfici. 
Il Cristianesimo infatti non è il solo respondabile di questi giochi poco puliti con l'aldilà.
Sono convinto che nessun Creatore abbia predisposto per le sue creature premi e castighi ultraterreni, i quali sono stati partoriti di sana pianta dalla mente perversa degli uomini.
Il Creatore, chiamandoci alla vita, ci ha per ciò stesso chiamati al compito impegnativo, seppur temporaneo, di costruire qui e adesso, nel corso dell'esistenza terrena, l'anello aggiuntivo dell'auspicabile miglioramento della nostra specie, nel quadro di un'incessante evoluzione di tutte le specie viventi.
Non è poco!  Ma niente di più!
L'inferno e il paradiso sono invece vivide rappresentazioni inventate dall'uomo per assoggettare altri uomini, i quali, abilmente manovrati da ricatti psicologici, sotto costanti minacce di pene e fuoco eterni, sono spesso indotti a calpestare e disprezzare non solo i beni materiali ma perfino la propria identità, i propri sentimenti, i propri affetti. 
E’ evidente che si tratta di un modo sottile e perverso di  realizzare lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Esso si avvale dello stesso meccanismo psicologico che è alla base delle fortune economiche delle sette, dei circoli fondati da santoni di vario tipo, delle congreghe presiedute da gente senza scrupoli. 
Ed è anche un modo per scoraggiare la lotta degli emarginati, un modo per frenare sul nascere la ribellione dei poveri, un modo per bloccare la rabbia e la rivolta degli ultimi, un modo per soffocare ogni specie di rivendicazione sociale ed economica. Un modo per indurre rassegnazione, inerzia ed impotenza.
Se il paradiso ci attende, possiamo anche soffrire quaggiù! Tanto tutto passa e alla fine verrà il premio...
Ma se la Chiesa vuole davvero servire l'uomo, se i giornali cattolici vogliono indicare sul serio la via del Vangelo, se i preti vogliono adempiere con coscienza la loro missione di salvezza, allora devono lasciare da parte per un bel pò il paradiso e combattere, hic et nunc, qui e adesso, per la giustizia sulla terra, per l'eliminazione delle diseguaglianze, per il rifiuto delle guerre, per la condanna chiara ed esplicita di tutte le altre violenze che l'uomo è costretto a subire nella speranza di un'aldilà felice ed eterno.
Forse le cose andrebbero meglio per tutti. Almeno in questa vita.

11 commenti:

Tomaso ha detto...

Quanta verità ci sono nelle tue parole caro Pino, purtroppo troppo poche ne sono convinti. Cari amico
Tomaso

giardigno65 ha detto...

QUESTA VITA, quella che ci interessa ...

Evergreen ha detto...

Caro Tomaso, mi fa piacere leggere i tuoi puntuali commenti, che apprezzo molto perché sono il frutto di un pensiero semplice e acuto come il tuo. Grazie!

Evergreen ha detto...

@giardigno: quando si dice...la vita è una!:-)))

Anonimo ha detto...

L'inferno non se l'è inventato un prete per terrorizzare altri uomini da tenere incatenati sotto minacce psicologiche, ma l'ha detto direttamente Gesù Cristo, il fondatore del cristianesimo. Se poi non ci credi, è un altro discorso. C'è anche una bella differenza tra "sette" e "religioni". Il discorso è un po' lungo ma su internet c'è un bel po' di materiale. Un'altra cosa da chiarire: la cosiddetta "paura dell'inferno" non significa che i credenti se ne stanno tutto il giorno con le mani in mano aspettando di morire, ma impegnarsi e sono moltissimi che lo fanno proprio per guadagnarsi quel Paradiso per il quale non servono parole, ma opere. Non mi risulta che le associazioni di atei abbiano inventato gli ospedali ed ora siano in prima linea nell'assistenza ai bisognosi. E chissà perché, pensare a Dio significa pensare a migliorare la vita dell'uomo. Coincidenza? Ti dice niente il fenomeno del monachesimo? Delle migliorie tecniche che portarono i monaci ovunque? Togliere Dio dal cuore dell'uomo significa fare del male all'uomo stesso, infatti quando l'uomo ha pensato di essersi sbarazzato di Dio sono venuti i totalitarismi del '900 con i milioni di morti. Altro che le guerre di religione... Saluti.

Evergreen ha detto...

Caro Antonio (sei tu l'anonimo?), non penso che le sorti dell'umanità siano a cuore soltanto a chi crede in Dio. Esistono tante persone che, pur non avendo il dono della fede, si comportano ancora meglio di tanti credenti superficiali e distratti.

Anonimo ha detto...

Si, sono sempre io che ho postato l'altro commento. No, le sorti dell'umanità sono nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti. Ho solo criticato la tua lettura della situazione che a mio parere è gonfia delle solite pregiudiziali anti-religiose. Non ti conosco, ma mi sembri una persona intelligente, e non è molto utile secondo me che tu legga le cose in questo modo. Saluti.

Liliana ha detto...

D'accordissimo con te Pino per quanto riguarda i non credenti che...il più delle volte sono CONCRETI negli aiuti e non come alcuni cattolici che vanno in chiesa, pregano ma sui fatti... non c'è nulla... E questo lo vivo a volte, personalmente, io stessa che frequento la Chiesa e mi rendo conto che, si prega, ma che, quando qualcuno di noi non sta bene, o è abbattuto per cose tristi che accadono nella vita, non arriva mai neanche una parola di conforto. Non necessariamente gli aiuti devono essere materiali (seppur lo devono essere, specie se si è Cristiani)ma a volte anche una piccola parola, detta in un momento di smarrimento, potrebbe illuminare e rendere migliore la vita di un.... figlio di Dio.

Liliana

Evergreen ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Evergreen ha detto...

Dicono, cara Liliana, che per credere occorre un salto. Bisogna cioè superare i limiti della ragione (che pure ci è stata donata da Dio) per approdare alla fede. Ma questo salto secondo me non è sufficiente. Occorre un salto ben più decisivo: quello che fa o dovrebbe fare il credente quando passa dalle parole vuote e dai formalismi inutili ai fatti concreti. Il mondo si salva con le opere.

Liliana ha detto...

CONCORDO IN PIENO CON TE PINO! BUONA SERATA!

Dio, teologia e fede

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