martedì 15 aprile 2025

Giuda Iscariota, il Calvario, la Croce e l'aquila di Roma

Faustino Bocchi (1659-1742) - Salita di Cristo al monte Calvario

 Provate per un attimo a calarvi nel clima storico-politico che si respirava negli anni della prima ed ancor più della seconda metà del I secolo della nostra era volgare. Roma era la capitale del mondo. I Romani avevano conquistato gran parte dei territori allora conosciuti. Il controllo sui popoli sottomessi – per quanto illuminato e tollerante rispetto alle tradizioni locali possa essere giudicato il metodo di governo di Roma – era in sostanza duro e inflessibile. Le voci di dissenso venivano prontamente e ferocemente soffocate. Lo stesso Giuseppe Flavio dà conto di innumerevoli esecuzioni avvenute nella sua Patria soprattutto nel periodo in cui Ponzio Pilato ne era il Procuratore. Le croci furono innalzate a migliaia. La ribellione degli Ebrei costò fiumi di sangue ad un popolo fiero ed orgoglioso della sua indipendenza e schiere di patrioti furono messi a morte senza pietà. Gesù ne seguì la medesima sorte per decisione di Pilato e per mano di soldati romani.

L’aquila di Roma si staglia nitida e minacciosa sulla scena del Calvario.

 Provate anche ad immaginare quale possibilità di penetrazione nel mondo romano avrebbe potuto avere una “buona novella” fedele ai fatti e divulgata ingenuamente per come essi si erano realmente svolti. Una cautela politica ed una preoccupazione di non offendere minimamente l’odiato oppressore sono alla base dell’elaborazione dei fatti della Passione e Morte. I redattori anzi hanno voluto far cadere la responsabilità della fine di Gesù quasi interamente sugli Ebrei. Pilato, il crudelissimo e sanguinario Pilato di Giuseppe Flavio, diviene di colpo un funzionario debole ed arrendevole. Addirittura gli vengono messe in bocca le improbabili parole “non ho trovato alcuna colpa in quest’uomo”. Ai capi del popolo ed alla folla che si accalcava nel pretorio è addossata per intero la colpa di aver invocato a gran voce la condanna del Giusto che perfino il Procuratore voleva a tutti i costi salvare. Più settari ed antistorici di così i redattori dei vangeli non potevano essere.

 In questo contesto suonano false  e costruite ad arte talune circostanze tra le quali ne elenco alcune: nel poco spazio disponibile all’interno del pretorio era assolutamente impossibile riunire una folla così numerosa come quella che descrivono i vangeli. Ed ancora: è logico pensare che Gesù, dopo aver attraversato tante contrade e tante città della Sua nazione facendo del bene a tutti, dopo aver miracolato e sfamato migliaia di persone, si trovasse inspiegabilmente tutti contro proprio nel momento cruciale? Anche la famosa risposta di Gesù: “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (si noti quel “Cesare” anteposto addirittura al successivo “e a Dio”) è frutto anch’essa una elaborazione dei redattori preoccupati di ingraziarsi Roma ed i rappresentanti del suo potere. Pure la vicenda di Giuda, traditore e rinnegato, si inquadra secondo me nel medesimo disegno dei redattori di voler a tutti i costi scagionare Roma e i rappresentanti del suo apparato politico-militare. Oltre tutto la morte di Giuda è riportata in modo contraddittorio dagli Atti degli Apostoli e dal Vangelo di Matteo (XXVII capitolo) cioè secondo due versioni nettamente ed apertamente contrastanti tra loro. Luca, l'autore degli Atti, riferendo direttamente il discorso di Pietro, scrive che il traditore era stato giustiziato ed era stato trovato morto attaccato per i piedi ad un albero, col ventre aperto e le budella sparpagliate al suolo. Il Vangelo di Matteo invece, con insanabile contraddizione, tramanda che Giuda morì suicida dopo essersi impiccato.

 Ma tutto questo non doveva rimanere senza conseguenze. I germi nefasti dell’antigiudaismo erano stati irreparabilmente inoculati. L’operazione “Giuda” ne ha favorito una lenta e progressiva incubazione che, durata secoli, doveva  sfociare nella persecuzione, la deportazione e lo sterminio del popolo ebreo.

sabato 12 aprile 2025

Il trono di Pietro, la maglietta della salute e il poncho argentino.




Mentre, nell’antica reggia papale, fervevano i preparativi per la cena di gala che avrebbe rappresentato il culmine orgiastico di un potere che ha inteso celebrare in pompa magna (media compresi) l’inossidabile ma, per certi versi, impresentabile monarchia inglese, a poca distanza dal Quirinale, in una Basilica di San Pietro semideserta, si compiva un miracolo di sobrietà, di semplicità, di autentica grandezza. 
Un vecchio Papa su una sedia a rotelle, con le cannule nasali per l’ossigenoterapia, senza mitria, senza zucchetto, senza piviale, senza pastorale, senza alcun segno di gloria, ricoperto a malapena da un umile poncho che non gli copriva nemmeno la spalla, non più omaggiato da re e regine o da altri pavoni e pavonesse della nostra boccheggiante democrazia ma salutato con affetto da un intrepido e spontaneo ragazzino, attraversava con discrezione la navata dell’immensa Basilica e, in quel preciso momento, officiava a sorpresa il più solenne dei suoi pontificali, recitava la più sacra delle sue preghiere (Egli stesso - con il suo carico di sofferenza - era una preghiera!) e pronunciava la più straordinaria delle sue omelie dando al mondo la più splendida testimonianza di se stesso. 
L’umanità non è mai stata disposta ad accettare gli irritanti segni del potere ma ha sempre privilegiato il “potere dei segni”, soprattutto quando questi parlano di servizio, di umiltà, di impegno, di esempio e di libertà, la libertà dei figli di quel Dio che “depose i potenti dal trono ed esaltò gli umili”. 
Vedendo le foto che lo ritraggono nella sua disarmata e impietosa fragilità, qualcuno si è già rammaricato del fatto che il Papa non si sia ancora deciso a dimettersi, per ciò stesso insinuando dubbi sulla tenuta della sanità mentale di Francesco. Ma, se anche fosse accertato un tratto di lieve follia nel recente gesto del Papa, un Papa che del resto non è mai stato accettato da chi continua ad ignorare la forza rivoluzionaria del messaggio cristiano, si tratterebbe della più sana delle follie, la follia di quel Gesù di Nazareth che scelse di vivere nel totale nascondimento e nella piena condivisione dei dolori e delle sofferenze degli uomini.
Al diavolo la forma, al diavolo le preziose pianete, al diavolo le mitrie, al diavolo i ricchi pastorali, al diavolo la tonaca bianca, al diavolo tutti gli orpelli del comando e del potere. 
Quel che conta è la sostanza e di sostanza - per chi ha occhi per vedere - ce n’è tanta, tantissima nell’uscita pomeridiana dell’altro ieri di questo imprevedibile Pontefice. 
Che il Signore lo custodisca per tanti anni ancora!

Giuda Iscariota, il Calvario, la Croce e l'aquila di Roma

Faustino Bocchi (1659-1742) - Salita di Cristo al monte Calvario  Provate per un attimo a calarvi nel clima storico-politico che si respirav...