Faustino Bocchi (1659-1742) - Salita di Cristo al monte Calvario
Provate per un attimo a calarvi nel clima storico-politico
che si respirava negli anni della prima ed ancor più della seconda metà del I
secolo della nostra era volgare. Roma era la capitale del mondo. I Romani
avevano conquistato gran parte dei territori allora conosciuti. Il controllo
sui popoli sottomessi – per quanto illuminato e tollerante rispetto alle
tradizioni locali possa essere giudicato il metodo di governo di Roma – era in
sostanza duro e inflessibile. Le voci di dissenso venivano prontamente e
ferocemente soffocate. Lo stesso Giuseppe Flavio dà conto di innumerevoli
esecuzioni avvenute nella sua Patria soprattutto nel periodo in cui Ponzio
Pilato ne era il Procuratore. Le croci furono innalzate a migliaia. La
ribellione degli Ebrei costò fiumi di sangue ad un popolo fiero ed orgoglioso
della sua indipendenza e schiere di patrioti furono messi a morte senza pietà.
Gesù ne seguì la medesima sorte per decisione di Pilato e per mano di soldati
romani.
L’aquila di Roma si staglia nitida e minacciosa sulla scena
del Calvario.
Provate anche ad immaginare quale possibilità di
penetrazione nel mondo romano avrebbe potuto avere una “buona novella” fedele
ai fatti e divulgata ingenuamente per come essi si erano realmente svolti. Una
cautela politica ed una preoccupazione di non offendere minimamente l’odiato
oppressore sono alla base dell’elaborazione dei fatti della Passione e Morte. I
redattori anzi hanno voluto far cadere la responsabilità della fine di Gesù
quasi interamente sugli Ebrei. Pilato, il crudelissimo e sanguinario Pilato di
Giuseppe Flavio, diviene di colpo un funzionario debole ed arrendevole. Addirittura gli vengono messe in bocca le
improbabili parole “non ho trovato alcuna colpa in quest’uomo”. Ai capi del
popolo ed alla folla che si accalcava nel pretorio è addossata per intero la
colpa di aver invocato a gran voce la condanna del Giusto che perfino il
Procuratore voleva a tutti i costi salvare. Più settari ed antistorici di così
i redattori dei vangeli non potevano essere.
In questo contesto suonano false e costruite ad arte talune circostanze tra le
quali ne elenco alcune: nel poco spazio disponibile all’interno del pretorio
era assolutamente impossibile riunire una folla così numerosa come quella che
descrivono i vangeli. Ed ancora: è logico pensare che Gesù, dopo aver
attraversato tante contrade e tante città della Sua nazione facendo del bene a
tutti, dopo aver miracolato e sfamato migliaia di persone, si trovasse
inspiegabilmente tutti contro proprio nel momento cruciale? Anche la famosa
risposta di Gesù: “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di
Dio” (si noti quel “Cesare” anteposto
addirittura al successivo “e a Dio”) è
frutto anch’essa una elaborazione dei redattori preoccupati di ingraziarsi Roma
ed i rappresentanti del suo potere. Pure la vicenda di Giuda, traditore e
rinnegato, si inquadra secondo me nel medesimo disegno dei redattori di voler a
tutti i costi scagionare Roma e i rappresentanti del suo apparato
politico-militare. Oltre tutto la morte di Giuda è riportata in modo
contraddittorio dagli Atti degli Apostoli e dal Vangelo di Matteo (XXVII
capitolo) cioè secondo due versioni nettamente ed apertamente contrastanti tra
loro. Luca, l'autore degli Atti, riferendo direttamente il discorso di Pietro,
scrive che il traditore era stato giustiziato ed era stato trovato morto
attaccato per i piedi ad un albero, col ventre aperto e le budella sparpagliate
al suolo. Il Vangelo di Matteo invece, con insanabile contraddizione, tramanda
che Giuda morì suicida dopo essersi impiccato.
Ma tutto questo non doveva rimanere senza conseguenze. I
germi nefasti dell’antigiudaismo erano stati irreparabilmente inoculati.
L’operazione “Giuda” ne ha favorito una lenta e progressiva incubazione che,
durata secoli, doveva sfociare nella
persecuzione, la deportazione e lo sterminio del popolo ebreo.
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