Sei ancora, ogni giorno, in mezzo a 
noi. E sarai con noi per sempre.
Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è 
tua e nostra, su questa terra che ti accolse, fanciullo, tra i fanciulli e, 
giustiziabile, tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti 
piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse 
invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un Povero che 
compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda.  
 
Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno 
perentorio e irrecusabile a questa generazione. Tu vedi, Gesù, il nostro 
bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro bisogno; non puoi 
fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura 
e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai 
quanto sogniamo d'una tua intervenzione, quant'è necessario un tuo ritorno. 
Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguita da 
un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un ripartire, una 
parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un 
avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del 
cielo, una risplendenza nella notte, un'ora sola della tua eternità, una parola 
sola per tutto il tuo silenzio. 
Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, 
puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente 
per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il 
bisogno che c'è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun' altro, 
nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della 
gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria 
più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno 
di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di 
quelli che sanno. L'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; 
l'assetato crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di 
agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel 
mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi 
persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica 
verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace 
dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti 
chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro. 
Noi non gridiamo verso di te per la vanità di poterti vedere come ti 
videro 
Galilei e Giudei, né per la gioia di guardare una volta i tuoi occhi, né
 per l'orgoglio matto di vincerti colla nostra supplicazione. Non chiediamo, 
noi, la 
grande discesa nella gloria dei cieli, né il fulgore della 
Trasfigurazione, né 
gli squilli degli angeli e tutta la sublime liturgia dell'ultima venuta.
 C'è 
tanta umiltà, tu lo sai, nella nostra irrompente tracotanza! Noi 
vogliamo 
soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, 
colla sua povera camicia d'operaio povero; vogliamo veder quegli occhi 
che passano la 
parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono 
collo 
sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo 
udire la 
tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini 
da 
quanto è forte. 
Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e 
della tua parola. Tu lo sai bene che un tuo sguardo può stravolgere e mutare le 
nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita 
miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua 
presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce. 
Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti 
per salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua 
opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E noi abbiamo oggi, 
in questi 
giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento e un 
accrescimento incomportabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza 
ritardi, 
d'esser salvati! 
Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un
 Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto 
alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti 
di male, 
anche dopo la tua morte, e più dopo la morte che in vita, gli uomini  
l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri,
 
l'abbiamo fatto. Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e
 non 
per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, 
sciami di 
Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e 
milioni di 
volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e un'eterna 
canaia di 
fecciosi insobilliti t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi; e 
gli 
staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti 
detentori 
d'argento e di potestà ti hanno frustate le spalle e insanguinata la 
fronte; e 
migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, usciti appena dal 
bagno, 
profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato 
migliaia di 
volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli
 bocche 
flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei 
ladri 
sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu
 fossi 
innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con 
cavicchi di 
ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio. 
Ma tu hai perdonato tutto e sempre. Tu sai, tu che sei stato in mezzo a noi, 
qual è il fondo della nostra natura sciagurata. Non siamo che rappezzi e 
bastardume, foglie instabili e passanti, carnefici di noi medesimi, aborti 
malvenuti che si sdraiano nel male a guisa d'un lattante rinvoltato nel suo 
piscio, d'un briaco stramazzato nel suo vomito, d'un accoltellato disteso nel 
suo sangue, d'un ulceroso giacente nel suo marciume. T'abbiamo respinto perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte 
perché eri la condanna della nostra vita. Tu stesso l'hai detto in quei giorni: 
«Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti 
ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato, e l'anima mia soffre per i figlioli 
degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore». Tutte le generazioni sono 
eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti 
rifiutano. «Simili, - tu dicesti - a quei ragazzi che stanno per le piazze e 
gridano ai compagni: "V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo 
intonato lamenti e non avete pianto"». Così abbiamo fatto noi, per quasi 
sessanta generazioni. 
Ma ora è venuto il tempo che gli uomini son più ebbri d'allora ma più sitibondi.
In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete 
struggente d'una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne 
ricordiamo, l'abbiettezza è stata così abbietta e l'arsura così ardente. La 
terra è un Inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono 
attuffati in una pegola di sterco stemperato nel pianto, dalla quale si levano, 
talvolta, frenetici e sfigurati, per 
buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi. Da poco 
sono usciti da uno di questi feroci lavacri e son tornati, dopo l'immensa 
decimazione, nel comun brago escrementizio. Le pestilenze hanno seguito le 
guerre; i terremoti le pestilenze; immani armenti di cadaveri infraciditi, 
quanti ne bastava una volta per popolare un regno, son distesi sotto il lieve 
schermo della terra bacosa, occupando, se fossero insieme, lo spazio di molte 
province. Eppure, come se tutti quei morti non fossero che una prima rata 
dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere. Le nazioni 
opulente condannano alla fame le nazioni povere; i ribelli ammazzano i loro 
padroni di ieri; i padroni fanno ammazzare i rivoltosi dai loro mercenari;
nuovi dittatori, profittando dello sfasciume di tutti i 
sistemi e di tutti i regimi, conducono intere nazioni alla carestia, alla strage 
e alla dissoluzione. 
L'amor bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per se medesima, 
di ogni popolo per se solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che 
l'odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d'ossami la terra. L'amore di sé, 
dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l'odio: odio dei piccoli 
contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servipadroni contro i 
padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze 
egemoni contro le razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli 
aggiogatori. L'ingordigia del troppo ha generato l'indigenza del necessario; la 
prurigine dei piaceri il rodìo delle torture, la smania di libertà 
l'aggravamento delle pastoie.
Negli ultimi anni la specie umana, che già si 
torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il 
mondo rintrona del fragore di macerie che rovinano; le colonne sono 
interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di 
pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli 
uomini ch'eran rimasti intatti nella pace dell'ignoranza li hanno strappati a 
forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle 
città a inzafardarsi e patire. Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un 
brulicame che appuzza l'aria afosa, una irrequietudine scontenta di 
tutto e della propria scontentezza. Gli uomini, nell'ebrietà sinistra di
 tutti i 
veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di 
pena, e, 
pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le 
maniere, la 
morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e 
non 
saziano, l'alcool, i giuochi, le armi, prelevano ogni giorno a migliaia 
i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie. 
Il mondo, per quattr'anni interi, s'è imbrattato di sangue per decidere chi doveva aver l'aiola più grande e il più grosso marsupio. I 
servitori di Mammona hanno cacciato Calibano in opposte interminabili fosse per 
diventare più ricchi e impoverire i nemici. Ma questa spaventevole esperienza 
non ha giovato a nessuno. Più poveri tutti di prima, più affamati di prima,
ogni gente è tornata ai piedi di fango del Dio Negozio
a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino Affare e la 
santa Moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati. Chi ha 
poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto. 
Avvezzati allo sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i 
rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti 
al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; 
sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I 
barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la 
concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli 
ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i 
ladri. L'ostentazione dei ricchi ha chiodato nella testa di tutti che altro non 
conta, sulla terra finalmente liberata dal cielo, che l'oro e quel che si può 
comprare e sciupare coll'oro. 
Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno. Una sola 
religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, 
Mammona e Priapo: la Forza che ha per simbolo la Spada e 
per tempio la Caserma; la Ricchezza che ha per simbolo l'Oro e per tempio la 
Borsa; la Carne che ha per simbolo il Phallus e per tempio il Bordello.
Questa è la religione regnante su tutta la terra, 
praticata con ardore dai fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi. 
L'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla 
bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi 
e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la 
sodomia ha i suoi panegiristi e i suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e 
occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici. 
Non c'è più Monarchie e neanche Repubbliche. Ogni ordine non è che fregio e 
simulacro. La Plutocrazia e la Demagogia, sorelle nello spirito e nei 
fini, si contendono la dominazione dell'orde sediziose, malamente servite dalla 
Mediocrità salariata. E intanto sopra l'una e l'altra delle caste in campo, la 
Coprocrazia, realtà effettiva e incontestata, ha sottomesso l'Alto al Basso, la 
Qualità alla Quantità, lo Spirito al Fango. 
Tu sai queste cose, Cristo Gesù, e vedi ch'è giunta un'altra volta la 
pienezza 
dei tempi e che questo mondo febbroso e imbestiato non merita che d'esser punito 
da un diluvio di fuoco o salvato dalla tua mediazione. Soltanto la tua Chiesa, 
la Chiesa da te fondata sulla pietra di Pietro, la sola che meriti il nome di 
Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma colle parole infallibili 
del tuo vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli 
scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e minaccioso del mondo. Ma tu 
che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti, perfino fra quelli che vi son 
nati,  vivon fuori dalla sua legge . 
Hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e lì mi 
ritroverai, incidi il legno ed io son qui.». Ma per scoprirti nella pietra 
e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi 
i più degli uomini non vogliono, non sanno trovarti. Se non fai sentire la tua 
mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori seguiteranno a cercare 
solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti 
possiede. Noi ti preghiamo, dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i 
nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te, e ci sforziamo di 
viver con te, ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi, i disperati, i 
reduci dai peripli e dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una 
volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, 
per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera. 
Più d'una volta sei apparso, dopo la Resurrezione, ai viventi, a quelli 
che credevan d'odiarti, a quelli che ti avrebbero amato anche se tu non 
fossi 
figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua 
voce. Gli asceti nascosti 
tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi
 sulle 
montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la 
grazia 
della morte per riunirsi con te. Tu eri la luce e parola sulla strada di
 Paolo, 
fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto 
nelle celle 
di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una 
volta, per 
tutti? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell'appassionata
 
speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta 
disperazione. 
Quell'anime ti evocarono col potere dell'innocenza; le nostre ti 
chiamano dal 
fondo della debolezza e dell'avvilimento. Se appagasti l'estasi dei 
Santi perché 
non dovresti accorrere al pianto dei Dannati? Non dicesti d'esser venuto
 per 
gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli
 che son 
rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e 
febbricitanti e 
che ognuno di noi, cercando sé, s'è smarrito e ti ha perso.
Mai come oggi il tuo Messaggio è stato necessario e mai 
come oggi fu dimenticato o spregiato. Il Regno di Satana è giunto ormai 
alla piena maturazione e la salvezza che tutti cercano brancolando non può esser 
che nel tuo Regno. 
La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, 
hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è 
avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno.
Se non vieni a destare i dormienti accovati nella 
belletta puzzante del nostro inferno, è segno che il 
gastigo ti sembra ancor troppo certo e leggero per il nostro tradimento e 
che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, 
in cielo e sulla terra. 
Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della 
nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai 
nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor 
nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore.
Giovanni Papini - Vita di Cristo 

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